Con sentenza interpretativa pubblicata in data 4 ottobre 2024 (causa C‑406/22), la Grande sezione della Corte di Giustizia dell’Unione europea è intervenuta su un tema di centrale importanza, ovvero la designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro.
La causa traeva origine dalla domanda di protezione internazionale nella Repubblica ceca presentata da CV, cittadino moldavo, che veniva rigettata dal Ministero dell’Interno della Repubblica ceca con decisione del 9 febbraio 2022 perché manifestamente infondata, in quanto la Repubblica ceca considera la Repubblica di Moldova un Paese di origine sicuro (con l’eccezione della Transnistria), e CV non aveva dimostrato perché, nel suo caso specifico, tale principio non avrebbe trovato applicazione.
Successivamente, CV impugnava la decisione di rigetto davanti al Tribunale regionale di Brno, il quale presentava domanda di pronuncia pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE, sottoponendo alla Corte di giustizia europea diverse questioni:
1) con la sua prima questione, “il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 37 della direttiva 2013/32, in combinato disposto con l’allegato I di quest’ultima, debba essere interpretato nel senso che un paese terzo cessa di soddisfare i criteri che gli consentono di essere designato paese di origine sicuro per il solo fatto che invoca il diritto di derogare agli obblighi previsti dalla CEDU, in applicazione dell’articolo 15 di tale Convenzione”;
2) con la sua seconda questione, “il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 37 della direttiva 2013/32 debba essere interpretato nel senso che esso osta a che un paese terzo possa essere designato come paese di origine sicuro, eccettuate talune parti del suo territorio”;
3) in caso di risposta affermativa a una delle altre due questioni pregiudiziali, con la sua terza questione, “il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta, debba essere interpretato nel senso che un giudice, quando è investito di un ricorso avverso una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale esaminata nell’ambito del regime speciale applicabile alle domande presentate dai richiedenti di paesi terzi designati, conformemente all’articolo 37 di tale direttiva, come paesi di origine sicuri, deve, nell’ambito dell’esame completo ed ex nunc imposto dal suddetto articolo 46, paragrafo 3, rilevare una violazione delle condizioni sostanziali di siffatta designazione, enunciate all’allegato I di detta direttiva, anche se tale violazione non è espressamente invocata a sostegno di detto ricorso.”
La Corte di Lussemburgo ha anzitutto chiarito il complesso contesto normativo in materia di protezione internazionale, facendo riferimento alla Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati e alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), per poi soffermarsi sul diritto dell’Unione – Direttiva 2005/85/CE, Direttiva 2011/95/UE, Direttiva 2013/32, Regolamento (UE) 2024/1348 – e infine sul diritto ceco in materia di asilo.
In seguito, pronunciandosi sulle tre questioni pregiudiziali, la Corte ha affermato che:
“1) L’articolo 37, della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, in combinato disposto con l’allegato I della stessa direttiva, dev’essere interpretato nel senso che: un paese terzo non cessa di soddisfare i criteri che gli consentono di essere designato come paese di origine sicuro per il solo motivo che si avvale del diritto di derogare agli obblighi previsti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, in applicazione dell’articolo 15 di tale convenzione, le autorità competenti dello Stato membro che ha proceduto a siffatta designazione devono tuttavia valutare se le condizioni di attuazione di tale diritto siano atte a mettere in discussione detta designazione.
2) L’articolo 37 della direttiva 2013/32 dev’essere interpretato nel senso che: esso osta a che un paese terzo possa essere designato come paese di origine sicuro allorché talune parti del suo territorio non soddisfano le condizioni sostanziali di siffatta designazione, enunciate all’allegato I di detta direttiva.
3) L’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, dev’essere interpretato nel senso che: quando un giudice è investito di un ricorso avverso una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale esaminata nell’ambito del regime speciale applicabile alle domande presentate dai richiedenti provenienti da paesi terzi designati come paese di origine sicuro, conformemente all’articolo 37 di tale direttiva, tale giudice, nell’ambito dell’esame completo ed ex nunc imposto dal suddetto articolo 46, paragrafo 3, deve rilevare, sulla base degli elementi del fascicolo nonché di quelli portati a sua conoscenza nel corso del procedimento dinanzi ad esso, una violazione delle condizioni sostanziali di siffatta designazione, enunciate all’allegato I di detta direttiva, anche se tale violazione non è espressamente fatta valere a sostegno di tale ricorso.”
Sulla base di tale sentenza, dunque, un paese terzo non è automaticamente “sicuro” per il semplice fatto di essere incluso nella lista dei “paesi sicuri”. Al contrario, è sempre necessario che un giudice valuti caso per caso la sicurezza del paese: infatti, gli Stati membri dell’UE devono garantire che un ricorso effettivo preveda l’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto e, dunque, che il Tribunale davanti a cui viene impugnata una decisione sulla richiesta d’asilo prenda in considerazione tutti gli elementi rilevanti per il caso.
Il giudice italiano dovrà adattarsi all’interpretazione fornita da questa innovativa pronuncia, disapplicando le previsioni interne con essa incompatibili, quale, ad esempio, l’art. 2-bis comma 2 del D.lgs. n. 25 del 2008, che stabilisce che “la designazione di un Paese di origine sicuro può essere fatta con l’eccezione di parti del territorio o di categorie di persone”, in contrasto con quanto stabilito dalla sentenza C-406/22 che non ammette l’eccezione di porzioni territoriali.
Da ultimo, in data 25 ottobre 2024, anche il Tribunale di Bologna ha formulato una domanda di pronuncia pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE, chiedendo alla Corte di Lussemburgo un ulteriore chiarimento in merito alla designazione dei paesi di origine sicuri.
Con distinti decreti, il Tribunale di Roma ha deciso, in data 18 ottobre 2024, di non convalidare il trattenimento di dodici migranti nei centri amministrativi albanesi, da poco costituiti in attuazione del Protocollo tra il Governo della Repubblica italiana e il Consiglio dei ministri della Repubblica di Albania per il rafforzamento della collaborazione in materia migratoria (c.d. Protocollo Italia-Albania, firmato a Roma il 6 novembre 2023 ed entrato in vigore il 25 marzo 2024).
Le decisioni del Tribunale di Roma prendono le mosse dall’esame dell’art. 4 comma 3 del Protocollo Italia-Albania, ove si legge che “le competenti autorità albanesi consentono l’ingresso e la permanenza nel territorio albanese dei migranti accolti nelle strutture di cui al paragrafo 1, al solo fine di effettuare le procedure di frontiera o di rimpatrio previste dalla normativa italiana ed europea. Nel caso in cui venga meno, per qualsiasi causa, il titolo della permanenza nelle strutture, la Parte italiana trasferisce immediatamente i migranti fuori dal territorio albanese”.
In virtù del citato art. 4, comma 3 del Protocollo, al trattenimento del richiedente protezione internazionale nei centri albanesi dovrà necessariamente applicarsi la procedura accelerata prevista dall’art. 28-bis del d.lgs. n. 25/2008 (come recentemente modificata dalla legge 50/2023).
Detta procedura, tuttavia, è applicabile solo a determinate categorie di persone ed è soggetta a specifiche condizioni. In particolare, l’art. 28-bis comma 2, lettere b e b-bis della citata legge, subordina la procedura accelerata alla seguente casistica: «b) domanda di protezione internazionale presentata da un richiedente direttamente alla frontiera o nelle zone di transito di cui al comma 4, dopo essere stato fermato per avere eluso o tentato di eludere i relativi controlli; b-bis) domanda di protezione internazionale presentata direttamente alla frontiera o nelle zone di transito di cui al comma 4 da un richiedente proveniente da un Paese designato di origine sicura ai sensi dell’articolo 2-bis»
A parere del Tribunale capitolino, nessuna di queste condizioni poteva dirsi sussistente nel caso di specie. Infatti, le circostanze e modalità di arrivo dei migranti presso le suddette aree, previste dal Protocollo e dalla legge di ratifica, escludono che possa anche solo ipotizzarsi l’applicazione della procedura accelerata di frontiera ai sensi della lett. b).
Quanto all’applicabilità dell’ipotesi di cui alla lettera b-bis), il Tribunale di Roma ritiene di dover interpretare la nozione di paese sicuro alla luce della recente giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (Grande Sezione, del 4/10/2024, causa C-406/22) la quale ha affermato che “l’articolo 37 della direttiva 2013/32 (c.d. direttiva procedure) deve essere interpretato nel senso che esso osta a che un paese terzo sia designato come paese di origine sicuro qualora talune parti del suo territorio non soddisfino le condizioni sostanziali per una siffatta designazione, di cui all’allegato I di tale direttiva”. Allo stesso modo, un paese non può essere considerato sicuro nel momento in cui non può dimostrarsi “che, in modo generale e uniforme, non si ricorre mai alla persecuzione quale definita all’articolo 9 della direttiva2011/95, tortura o pene o trattamenti inumani o degradanti e che non vi sia alcuna minaccia dovuta alla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato internazionale o interno”.
Quindi, conclude il Tribunale di Roma, “alla luce dell’interpretazione vincolante del diritto dell’Unione fornita dalla citata sentenza, non è possibile designare come sicuro un Paese dove si ricorre alla persecuzione quale definita dall’articolo 9 della direttiva 2011/95, tortura o pene o trattamenti inumani o degradanti verso categorie di persone o vi siano minacce dovute alla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato internazionale o interno in parti del suo territorio”.
Pertanto, Egitto e Bangladesh, non possono ritenersi paesi di origine sicura, in quanto “nelle conclusioni della scheda-Paese dell’istruttoria del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale per l’aggiornamento del sopra menzionato decreto interministeriale, basate su informazioni tratte da fonti qualificate di riferimento” entrambi i Paesi sono definititi sicuri “con eccezioni per alcune categorie di persone”.
Di conseguenza, viene meno il presupposto stesso per l’applicazione della procedura accelerata, ovvero la provenienza da un paese sicuro, costituente il titolo per il trattenimento nei centri albanesi; trattenimento che, dunque, non potrà essere convalidato.
Tale conclusione, ben lungi dall’essere arbitraria, è ancorata a quanto stabilito nel decreto interministeriale emanato ai sensi dell’art. 2-bis del d.lgs. n° 25/2008 (che a sua volta rinvia alle schede-paese trasmesse dal Ministero degli Affari Esteri e della cooperazione internazionale) nonché al diritto dell’Unione Europea, di cui la Corte di Giustizia fornisce un’interpretazione senz’altro vincolante.
La Corte costituzionale, con sentenza n. 160 del 4 ottobre 2024, si è pronunciata in materia di confisca edilizia, con particolare riferimento alla posizione del creditore con diritto di ipoteca sul bene confiscato, precedente alla trascrizione dell’acquisto a favore del Comune
La Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, terzo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, nella parte in cui non fa salvo il diritto di ipoteca iscritto a favore del creditore, non responsabile dell’abuso, in caso di confisca edilizia, nonché dell’art. 31, comma 3, primo e secondo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, norma dal medesimo tenore che è subentrata alla precedente.
Le citate disposizioni erano state interpretate dalla Corte di cassazione e dal Consiglio di Stato nel senso di attribuire alla confisca edilizia la qualifica di acquisto a titolo originario, cui consegue, in mancanza di una diversa previsione di legge, l’estinzione di «eventuali ipoteche, pesi e vincoli preesistenti», con grave nocumento dei creditori.
La Corte costituzionale, tuttavia, preso atto di tale interpretazione, ha ritenuto irragionevole e sproporzionato che l’acquisto a titolo originario del bene confiscato da parte del comune non faccia salvi eventuali diritti di ipoteca, ove il creditore titolare di tale garanzia reale non sia responsabile dell’abuso edilizio.
Infatti, la sanzione della confisca, che colpisce il proprietario che non ottempera alla demolizione dell’immobile abusivo, non può coinvolgere il creditore ipotecario che in nessun modo ha partecipato all’illecito.
Il 18 ottobre 2024 si è svolta a Roma, presso la Camera dei deputati a Palazzo Montecitorio, la Conferenza internazionale “L’impatto della Convenzione europea dei diritti umani negli ordinamenti interni”, organizzata dall’Institut des droits de l’homme des avocats européens (IDHAE), organizzazione non governativa – presieduta dall’Avv. Prof. Anton Giulio Lana – dedicata alla promozione e alla protezione dei diritti umani ed alla difesa degli avvocati la cui libertà di esercitare la professione è minacciata in tutto il mondo, e dall’Università degli Studi di Roma UnitelmaSapienza, Dipartimento di Diritto e Società Digitale, diretto dal Prof. Avv. Mario Carta.
L’evento, coordinato dall’Avv. Dominique Attias, si è aperto con gli indirizzi di saluto dell’On. Laura Boldrini, Presidente del Comitato permanente sui diritti umani nel mondo, dell’Avv. Prof. Anton Giulio Lana e del Prof. Avv. Mario Carta.
A seguire, Guido Raimondi, ex Presidente della Corte europea dei diritti dell’uomo, ha dedicato una lectio magistralis all’impatto della Convenzione europea dei diritti umani sugli ordinamenti interni, focalizzandosi, in particolare, sull’ordinamento italiano. Successivamente, diversi avvocati europei esperti nel contenzioso in materia di diritti umani dell’IDHAE hanno svolto delle relazioni sull’impatto della CEDU nei rispettivi ordinamenti giuridici. Nello specifico, l’Avv. Bertrand Favreau, Presidente del Premio internazionale dei diritti umani “Ludovic Trarieux”, si è occupato dell’impatto della Convenzione nell’ordinamento francese. L’Avv. Thierry Bontinck, tesoriere dell’IDHAE, ha trattato dell’ordinamento belga e l’Avv. Giulia Jaeger, Segretaria Generale dell’IDHAE, si è focalizzata sull’ordinamento lussemburghese. Gli interventi sono stati seguiti dalle conclusioni dell’Avv. Christophe Pettiti, Vicepresidente dell’IDHAE.
Al termine della conferenza si è svolta la Cerimonia di consegna del Premio internazionale dei diritti umani “Ludovic Trarieux”, presieduto dall’Avv. Bertrand Favreau, il più antico e prestigioso tributo assegnato dagli avvocati a un avvocato, un riconoscimento per coloro che, attraverso le loro azioni, contribuiscono a promuovere la giustizia e a difendere i diritti fondamentali delle persone. L’On. Laura Boldrini ha consegnato nelle mani del Ministro per i diritti umani del Governo di unità nazionale birmano in esilio Aung Myo Min il Premio “Ludovic Trarieux” 2024, assegnato dalla Giuria all’avvocata birmana Ywet Nu Aung, condannata nel 2022 a 15 anni di prigione per aver svolto la propria professione in supporto agli oppositori della giunta militare al potere e tuttora in carcere. Infine, la Giuria del Premio “Ludovic Trarieux” ha dedicato una menzione speciale alla Law Society of Northern Ireland, riconosciuta come “Bar of the Year 2024” per l’impegno al servizio dell’indipendenza degli avvocati.
È stato pubblicato il bando di proroga del termine di iscrizione e di differimento della II edizione del Corso di specializzazione per Avvocato internazionalista (di seguito il “Corso”), che avrà inizio a partire dal 28 marzo 2025.
Il Corso, diretto dall’Avv. Prof. Anton Giulio Lana, viene organizzato dalla Scuola Nazionale di Alta Formazione Specialistica dell’Unione forense per la tutela dei diritti umani (di seguito, UFDU) – iscritta nell’elenco delle associazioni forensi specialistiche maggiormente rappresentative ai sensi dell’art. 35, co. 1, lett. s) della legge 31 dicembre 2012 n. 247 – in convenzione con il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma, l’Università degli Studi di Roma UnitelmaSapienza e il Dipartimento di Diritto e società digitale dell’Università degli Studi di Roma UnitelmaSapienza, nonché d’intesa con il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli”, il Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Firenze, il Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Udine, l’Università di Macerata.
Il Corso ha durata biennale per un totale di 216 ore di formazione (come previsto dalla normativa nazionale). L’iscrizione è aperta agli avvocati iscritti a uno degli albi degli ordini forensi nazionali ai fini del conseguimento del titolo di avvocato specialista.
Il primo anno di Corso inizierà in data 25 marzo 2025 e terminerà il 24 aprile 2026, mentre il secondo anno inizierà in data 8 maggio 2026 e terminerà il 14 marzo 2027. Sarà possibile iscriversi al Corso sino al 18 marzo 2025.
Ulteriori informazioni, anche relativamente ai costi di iscrizione, si possono consultare sul sito dell’Unione. Per qualsiasi ulteriore informazione è possibile scrivere al seguente indirizzo di posta elettronica: scuola@avvocatointernazionalista.com.
A seguito della proficua frequenza della I edizione del Corso di specializzazione per Avvocato internazionalista, del conferimento del relativo attestato e del giudizio di idoneità espresso dalla Commissione per il settore di Diritto internazionale istituita in seno al Consiglio Nazionale Forense, al nostro collega di studio, l’Avv. Alessio Sangiorgi, è stato conferito il titolo di Avvocato specialista nel settore di “diritto internazionale” ai sensi della disciplina in materia (art. 9 della legge 31 dicembre 2012, n. 247 e D.M. 12 agosto 2015, n. 144 e ss. mm.).
Maggiori informazioni sui corsi per conseguire le specializzazioni nei settori “diritto internazionale” e “tutela dei diritti umani e protezione internazionale” organizzati dalla Scuola Nazionale di Alta formazione specialistica dell’Unione forense per la tutela dei diritti umani, possono essere rinvenute al seguente link.