itenfr+39 06 85300769
·
studio@llbrlex.com
·
Via Emilio de’ Cavalieri, 11 - Roma
Contatti

Newsletter n. 9 del 13 luglio 2022

0

Sommario

L’Unione forense per la tutela dei diritti umani interviene presso la Corte europea dei diritti dell’uomo, come amicus curiae, in tre casi contro l’Italia relativi alla procreazione medicalmente assistita e alla gestazione per altri.

Si segnala l’intervento amicus curiae, presentato dall’Unione forense per la tutela dei diritti umani, con l’ausilio degli avvocati dello studio LLBR, alla Corte europea dei diritti dell’uomo in materia di procreazione medicalmente assistita e gestazione per altri.

L’Unione forense ha presentato le sue osservazioni, nell’interesse del buon andamento della giustizia, in tre casi concernenti materie di particolare interesse e sensibilità in cui, come anche stigmatizzato dalla Corte Costituzionale con le sentenze 32 e 33 del 2021, vi è un vuoto di tutela che danneggia inesorabilmente tanto i minori quanto i loro genitori.

Con il primo intervento, presentato nei casi Ettore Nuti and others v. Italy e Sara Dallabora and others v. Italy, l’Unione mira a fornire alla Corte un quadro esauriente della normativa e della giurisprudenza italiana in materia di procreazione medicalmente assistita (PMA), con particolare riferimento alla possibilità per una coppia di due donne di essere iscritte come madri sul certificato di nascita di un minore nato in Italia e concepito all’estero mediante il ricorso alla fecondazione eterologa.

Con il secondo intervento, presentato nei casi Bonzano and others v. Italy e Modanese v. Italy, si è cercato, invece, di fornire alla Corte un quadro esauriente della normativa e della giurisprudenza italiana in materia di gestazione per altri, con particolare riferimento alla possibilità di riconoscere un legame genitoriale rapido ed effettivo tra il c.d. genitore intenzionale e il figlio nato all’estero da tale pratica.

La Corte di Strasburgo stoppa i primi ricollocamenti dal Regno Unito verso il Ruanda.

A partire da metà giugno, il Regno Unito ha iniziato ad attuare l’accordo siglato lo scorso 14 aprile con la Repubblica del Ruanda, in base al quale i richiedenti asilo giunti in maniera irregolare in Gran Bretagna e Nord Irlanda possono essere ricollocati nel territorio del Ruanda, in attesa che la domanda di protezione internazionale sia valutata dalle autorità britanniche. Si tratta di una scelta politica che è stata a lungo discussa negli ultimi mesi dall’opinione pubblica interna e internazionale, attirando grandi critiche al governo Johnson.

A seguito dell’istituzione di questa nuova prassi, che suscita chiari profili di conflitto con il principio di non refoulement, oltre che con il principio dell’asilo territoriale, alcuni richiedenti asilo oggetto di una misura di trasferimento verso il Ruanda hanno presentato domanda di misure provvisorie ai sensi dell’art. 39 del Regolamento della Corte europea dei diritti dell’uomo, al fine di bloccarne l’esecuzione.

Per tale ragione, lo scorso 14 giugno, la Corte di Strasburgo ha deciso di concedere una prima misura provvisoria urgente a un richiedente asilo iracheno che rischiava l’imminente trasferimento in Ruanda. Il ricorrente, il sig. K.N., aveva fatto ingresso nel Regno Unito in data

17 maggio e aveva presentato domanda di protezione internazionale, che era stata successivamente ritenuta prima facie inammissibile (nonostante in un rapporto si evidenziasse che il richiedente asilo mostrava segni post-traumatici da tortura). In spregio all’impugnativa del provvedimento di diniego, il ricorrente rischiava l’espulsione verso Kigali, con volo charter già previsto per le 22:30 del 14 giugno. A seguito del rigetto della richiesta di sospensiva del provvedimento di ricollocamento da parte della High Court inglese, il 13 giugno il sig. K.N. presentava dunque domanda di misure provvisorie alla Corte europea di Strasburgo.

Quest’ultima ha indicato al governo britannico che il richiedente non doveva essere trasferito in Ruanda prima che fossero trascorse tre settimane dalla pronuncia della decisione nazionale definitiva nel procedimento giurisdizionale attualmente in corso.

In particolare, nell’accogliere la richiesta di misure sospensive provvisorie, i giudici di Strasburgo hanno tenuto conto, da un lato, delle preoccupazioni sollevate dall’UNHCR, secondo cui i richiedenti asilo trasferiti dal Regno Unito al Ruanda non avrebbero avuto accesso a una procedura equa ed effettiva di determinazione dello status di rifugiato e, dall’altro, dalla stessa conclusione dell’High Court relativa al fumus della doglianza sull’arbitrarietà o comunque sull’insufficiente motivazione della decisione di designare il Ruanda come Paese terzo sicuro da parte del Regno Unito (“arguable claim” che sarà affrontato nelle successive udienze di luglio). I giudici europei hanno ritenuto che sussistesse il rischio di un trattamento del ricorrente contrario ai diritti della Convenzione, posto che il Ruanda è al di fuori dello spazio giuridico della CEDU (non risultandone quindi vincolato) e in considerazione dell’assenza di qualsiasi meccanismo giuridicamente vincolante che garantisca il ritorno del ricorrente nel Regno Unito nel caso in cui i tribunali britannici accolgano il suo ricorso nel merito. Pertanto, la Corte EDU ha deciso di concedere la misura provvisoria per impedire l’allontanamento del ricorrente prima che i tribunali interni avessero avuto l’opportunità di esaminare nel merito la fattispecie.

Nel frattempo, altri due provvedimenti di ricollocamento sono stati temporaneamente sospesi dalla Corte di Strasburgo in attesa di meglio approfondire la situazione, mentre una ulteriore richiesta di misura provvisoria è stata respinta poiché in quel caso la Corte ha statuito che il ricorrente non si era avvalso dei rimedi cautelari disponibili nell’ordinamento interno (come invece avevano fatto gli altri ricorrenti nei casi sopramenzionati).

Infine, un’ultima domanda ex art. 39 del Regolamento della Corte è stata ritirata a seguito della decisione dell’Home Office britannico di sospendere quel ricollocamento.

La battaglia legale per bloccare gli effetti di questa nuova preoccupante prassi di esternalizzazione nella gestione dei richiedenti asilo posta in essere dal governo britannico sembra dunque essere nel suo pieno: il rischio è che se l’accordo UK-Ruanda dovesse sopravvivere all’esito del contenzioso attivato per neutralizzarne gli effetti, verrebbe assestato un duro colpo al principio dell’accesso al sistema di protezione internazionale, con un potenziale effetto a catena su altri governi. A farne le conseguenze sarebbero, come sempre, i richiedenti protezione internazionale, con un considerevole abbassamento delle tutele nei loro confronti, ancor più preoccupante quando si tratti di soggetti che potrebbero essere particolarmente vulnerabili, la cui sorte nel Ruanda (e in altri paesi terzi) è tutt’affatto chiara.

Le Sezioni Unite si pronunciano sulle sorti del processo relativo all’attribuzione dell’assegno divorzile – a seguito di pronuncia parziale sullo status matrimoniale - nel caso di morte di uno dei coniugi.

Con sentenza n. 20494 del 24 giugno 2022, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, sono intervenute a dirimere il contrasto giurisprudenziale relativo alle sorti del processo nel caso in cui sia stata emessa una pronuncia parziale sullo status matrimoniale, passata in giudicato, e nel corso del giudizio, proseguito ai fini dell’attribuzione dell’assegno divorzile, sia sopravvenuto il decesso di uno dei coniugi.

In particolare, il Tribunale di Macerata, con sentenza parziale del 4 settembre 2013, pronunciava la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra le parti. I giudici, quindi, rimettevano la causa in istruttoria in modo da poter accertare l’effettiva sussistenza del diritto della ricorrente a ricevere una somma a titolo di assegno divorzile da parte del coniuge.

A seguito del decesso del coniuge nel maggio 2014, il Tribunale disponeva l’interruzione del processo, poi prontamente riassunto dalla ricorrente avverso gli eredi del de cuius.

Il Tribunale, con sentenza del 26 giugno 2017, riconosceva alla ricorrente il diritto a percepire un assegno divorzile per il periodo compreso tra il passaggio in giudicato della sentenza parziale e la morte del de cuius.

Avverso tale decisione gli eredi interponevano appello, che, con sentenza del 23 marzo 2018, veniva rigettato.

Gli eredi proponevano dunque ricorso per cassazione fondato su 5 motivi. Veniva in particolare contestato che, in applicazione degli articoli 81, 300, 303 c.p.c., il decesso del coniuge determini la cessazione della materia del contendere, dovendosi quindi considerare impossibile ogni statuizione sul merito.

 Inoltre, sostenevano i ricorrenti, l’obbligazione del de cuius al mantenimento del coniuge non è trasmissibile agli eredi.

Le Sezioni Unite della Cassazione venivano dunque chiamate a pronunciarsi, su rinvio da parte del Primo Presidente, a seguito dell’ordinanza di rimessione della Prima sezione civile.

Oggetto della rimessione alle Sezioni unite erano le questioni concernenti le sorti del processo in simile evenienza, con riguardo alle parti del giudizio divorzile o del giudizio volto alla modifica dell’entità dell’assegno, alla natura delle sentenze ivi pronunciate ed alla successione nel processo, con i connessi istituti dell’interruzione e della riassunzione della causa.

Ci si chiedeva se, nel caso di specie, essendosi formato un giudicato sullo status ed essendo uno dei due coniugi venuto meno nel corso del giudizio per l’accertamento del diritto all’assegno divorzile, questo potesse proseguire nei confronti degli eredi.

Le Sezioni Unite, nel respingere il ricorso degli eredi del de cuius, affermavano il principio di diritto secondo cui: “nel caso di pronuncia parziale di divorzio sullo status, con prosecuzione del giudizio al fine dell’attribuzione dell’assegno divorzile, il venir meno di un coniuge nel corso del medesimo non ne comporta la declaratoria di improcedibilità, ma il giudizio può proseguire nei confronti degli eredi, per giungere all’accertamento della debenza dell’assegno dovuto sino al momento del decesso”.

Dopo la sentenza del 7 aprile 2022 resa nel caso Landi c. Italia, la Corte di Strasburgo condanna l’Italia per la violazione dell’art. 3 in un altro caso di violenza domestica.

Con la Sentenza De Giorgi c. Italia del 16 giugno 2022 (n. 23735/19) – di non molto successiva alla sentenza resa dalla Corte EDU nel caso Landi c. Italia –  la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha condannato lo Stato italiano per violazione dell’articolo 3 della Convenzione (divieto di trattamenti disumani o degradanti), in ragione dell’inattività delle autorità italiane nel proteggere una donna e i suoi figli minori dalle violenze inflittegli dall’ex marito.

Di fatto, a seguito del divorzio dal marito, la ricorrente ed i suoi figli diventavano vittime di costanti violenze, fisiche e verbali, da parte di lui. Tale violenza si sostanziava in ripetute minacce di morte avverso la ricorrente, intrusioni nella sua abitazione e nella sua vita privata, nonché nell’uso di violenza fisica contro la donna e di maltrattamenti nei confronti dei figli minori.

Più volte, nel corso del tempo, la donna aveva cercato assistenza presso le autorità italiane. La ricorrente aveva presentato sette denunce e un ricorso civile per l’ottenimento di un ordine di protezione per lei e per i suoi bambini, senza che questo sortisse alcuna reazione da parte delle autorità. Delle sette denunce presentate dalla donna, ad esempio, soltanto per una era stato deciso dal giudice il rinvio a giudizio, mentre le altre erano state tutte archiviate.

Asserendo la pressoché totale inazione delle autorità italiane, la ricorrente si rivolgeva quindi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, lamentando una violazione degli obblighi positivi che l’articolo 3 della Convenzione impone agli Stati membri per evitare che i propri cittadini vengano sottoposti a trattamenti inumani o degradanti.

Con la sentenza in commento, del 16 giugno 2022, la Corte EDU accoglieva il ricorso e condannava dunque l’Italia per violazione dell’articolo 3 della Convenzione, rilevando nel comportamento delle autorità italiane un inadempimento delle obbligazioni positive previste da tale disposizione.

In questo contesto, sebbene la Corte rilevi come, in astratto, l’ordinamento italiano sia idoneo ad assicurare una protezione delle vittime di violenze domestiche, tuttavia, nel caso di specie, il dato normativo non era stato reso effettivo da un intervento della magistratura, che avrebbe dovuto valutare la sussistenza di un rischio per l’incolumità della donna e dei suoi figli minori nonché, se necessario, adottare misure positive in grado di porre fine a tale situazione.  Detta inerzia delle autorità italiane veniva dunque considerata dalla Corte come una violazione degli obblighi positivi imposti agli stati dall’articolo 3 della Convenzione.

Corso di specializzazione “Migrazioni, integrazione e democrazia. Profili giuridici, sociali e culturali”, VI edizione – 2022.

Anche quest’anno l’Unione forense per la tutela dei diritti umani organizza un Corso di specializzazione e approfondimento dal titolo “Migrazioni, integrazione e democrazia. Profili giuridici, sociali e culturali”. Il corso, giunto alla VI edizione, si articola in otto incontri della durata di tre ore ciascuno (dalle ore 15:00 alle ore 18:00) che si terranno in modalità streaming, nei seguenti venerdì: 16 settembre, 23 settembre, 30 settembre, 7 ottobre, 14 ottobre, 21 ottobre, 28 ottobre, 4 novembre 2022, attraverso la piattaforma GoToWebinar.

Si tratta di un fondamentale strumento di approfondimento e aggiornamento specialistico che mira a fornire un quadro interdisciplinare della materia delle migrazioni, attraverso l’analisi non solamente dell’aspetto prettamente giuridico o economico del fenomeno, ma altresì di quello demografico, antropologico, giornalistico, sociologico, medico e psicologico, cercando di giungere a una visione olistica della materia.

Un taglio multidisciplinare di cui si è sentito chiaramente il bisogno, in risposta ai nuovi paradigmi della migrazione e che sarà altresì corroborato da una serie di interventi, interviste e dibattiti con chi opera sul campo, al fine di favorire la partecipazione attiva dei fruitori del corso.
Tra i docenti i massimi esperti della materia, quali ad esempio: i Professori Christopher Hein, Raffaele Cadin, Claudia Bianchi e i magistrati Lucia Tria, Martina Flamini, gli avvocati, Anton Giulio Lana, Maria Giovanna Ruo e Eugenia Barone Adesi.