Il 24 febbraio, a seguito dell’inizio dell’invasione della Russia in Ucraina, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa adottava prontamente una decisione con cui si invitava la Federazione russa a cessare immediatamente le operazioni militari intraprese.
Il 25 febbraio, il Comitato sospendeva la Federazione Russa quasi integralmente dai suoi diritti di rappresentanza nell’organizzazione, ai sensi dell’art. 8 dello statuto del Consiglio d’Europa.
Il 1° marzo, la Corte europea dei diritti dell’uomo, a seguito di una richiesta in tal senso da parte del governo dell’Ucraina originata da “massive human rights violations being committed by the Russian troops”, indicava misure provvisorie urgenti alla Russia, ai sensi dell’art. 39 del Regolamento della Corte.
La Corte, in particolare, invitava il governo russo ad astenersi da attacchi militari contro civili ed installazioni civili, inclusi alloggi, veicoli di emergenza, scuole e ospedali e per garantire l’immediata sicurezza delle strutture sanitarie, del personale medico e dei mezzi di soccorso nel territorio assalito o assediato dai militari russi.
Il 10 marzo, dopo il bombardamento dell’ospedale pediatrico/ostetrico di Mariupol, il Comitato dei Ministri in una nuova decisione condannava ancora con forza l’aggressione della Russia sul territorio ucraino, causa di immense sofferenze del popolo ucraino e costituente “a breach of peace of unprecedent magnitude on Europe continent since the creation of the Council of Europe”. Il Comitato invitava la Federazione Russa ad adottare le misure provvisorie disposte dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, esprimendo la sua determinazione ad agire in coordinamento con l’Assemblea parlamentare al fine di comminare nuove sanzioni e eventualmente espellerla dal Consiglio d’Europa.
Quasi contestualmente il ministro degli esteri russo comunicava il ritiro di Mosca dal Consiglio d’Europa.
Il 14 e il 15 marzo si è tenuta una seduta straordinaria dell’Assemblea parlamentare in seno al Consiglio d’Europa (PACE), al termine della quale si è concluso che la Federazione russa “can no longer be a member State of the Organisation”. L’Assemblea ha adottato un’opinione con cui ha invitato il Comitato dei Ministri a chiedere alla Federazione Russa “di ritirarsi immediatamente dal Consiglio d’Europa”. Se il paese non dovesse soddisfare la richiesta, l’Assemblea ha suggerito al Comitato dei Ministri di determinare la data a partire dalla quale la Federazione Russa cesserebbe di essere membro dell’organizzazione.
In una riunione straordinaria del 16 marzo, il Comitato dei Ministri ha deciso, nel contesto della procedura avviata ai sensi dell’articolo 8 dello Statuto del Consiglio d’Europa, l’esclusione della Federazione Russa dal Consiglio d’Europa con effetto immediato.
La Federazione Russa faceva parte del Consiglio d’Europa dal 28 febbraio 1996.
La prima sezione della Corte di cassazione, con ordinanza 7413/2022, ha ritenuto non conforme a diritto l’interpretazione estensiva dell’art. 8 della legge 40/2004 (in materia di PMA) fornita dalla Corte d’appello di Cagliari.
La Corte d’appello di Cagliari, con decreto n. 691/2021, nel confermare la decisione del Tribunale, riteneva legittima l’annotazione operata dall’ufficiale dello stato civile, sull’atto di nascita di L.A. – nato in Italia a seguito di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo eseguita in Germania – che indicava, quali genitori sia la madre partoriente che la madre intenzionale.
In particolare, la Corte d’appello, riteneva che, a seguito della sentenza n. 32 del 2021 della Corte costituzionale, si dovesse procedere ad una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 8 della legge 40, sulla base del quale i nati a seguito di PMA acquistano lo stato di figli della coppia che ha espresso il consenso all’utilizzazione delle tecniche medesime.
Il Collegio cagliaritano si poneva in aperto dissenso con le motivazioni espresse dalla Cassazione in sue precedenti pronunce (nn. 7668 e 8029 del 2020) e nel richiamare la sentenza n. 32 argomentava che:
La prima sezione della Cassazione ha ritenuto non conformi a diritto tali argomentazioni, statuendo che, proprio alla luce di quanto affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 32/2021, gli artt. 8 e 9 della legge 40 non possono essere interpretati prescindendo dal complessivo impianto regolatore della suddetta legge che all’art. 5 pone la diversità di sesso quale requisito di accesso alla tecnica e che disegna la PMA come una “terapia per l’infertilità patologica”.
Il 24 febbraio u.s. le forze armate russe hanno avviato un’invasione dell’Ucraina su larga scala che, rendendo vaste aree del territorio ucraino zone di conflitto armato, ha provocato fin da subito l’esodo di migliaia di persone.
Ad oggi, secondo l’Alto commissariato Onu per i rifugiati (UNHCR), si conterebbero già 2,5 milioni di persone che, fuggite dal conflitto, sono giunte nei paesi limitrofi (oltre 1,2 milioni sono giunti in Polonia, più di 191mila in Ungheria e oltre 140mila in Slovacchia); numero che è destinato a moltiplicarsi tragicamente con il proseguire del conflitto.
Proprio l’eccezionalità di tale situazione- che non ha simili precedenti in Europa a partire dalla seconda guerra mondiale – ha spinto il Consiglio dell’Unione Europea a muoversi in tempi rapidi e a decidere all’unanimità l’attivazione del meccanismo di protezione internazionale temporanea previsto dalla direttiva 55/2001, pensata per far fronte alla crisi nei Balcani e di fatto mai utilizzata.
La protezione temporanea rappresenta un meccanismo di emergenza applicabile nei casi di afflussi di massa e pensato al fine di consentire, a chi non può più far rientro nel suo paese di origine, di godere rapidamente di diritti armonizzati in tutta l’Unione (soggiorno, accesso al mercato del lavoro e agli alloggi, assistenza medica e accesso all’istruzione per i minori), senza gravare sui sistemi di asilo dei singoli stati.
Con la decisione del 4 marzo il Consiglio ha quindi accertato l’esistenza di un afflusso massiccio nell’Unione di persone che hanno dovuto abbandonare l’Ucraina a seguito dell’invasione russa, dando così operatività al meccanismo della protezione temporanea.
La durata della protezione temporanea è pari ad un anno, prorogabile di sei mesi in sei mesi per un altro anno; se i presupposti per il riconoscimento di tale protezione non dovessero venir meno dopo questo periodo, il Consiglio, su proposta della Commissione e a maggioranza qualificata, potrà prorogarla di un ulteriore anno.
Ai sensi dell’art. 2 della Decisione in commento, la protezione temporanea si applicherà ai cittadini ucraini ivi residenti prima del 24 febbraio 2022, agli apolidi e ai cittadini di paesi terzi che beneficiavano di protezione internazionale o di una protezione equivalente in Ucraina prima del 24 febbraio e ai loro familiari.
La Decisione si applicherà altresì agli apolidi e ai cittadini di paesi terzi che, soggiornando regolarmente sul territorio ucraino, al 24 febbraio avevano un permesso di soggiorno permanente e non possono far ritorno in condizioni sicure e stabili nel loro paese di origine. In questo caso saranno però gli stati membri a dover decidere se applicare la forma della protezione temporanea, oppure applicare altra adeguata forma di protezione ai sensi del proprio diritto interno.
A norma dell’art. 7 della direttiva 55/2001, gli Stati membri possono applicare tale Decisione anche ad altre categorie di soggetti, compresi i cittadini di paesi terzi che risiedono regolarmente in Ucraina e non possono tornare in condizioni di sicurezza nel proprio paese di origine (questa categoria potrebbe comprendere i cittadini di paesi terzi che si trovavano in Ucraina per un breve periodo per motivi di studio o di lavoro al momento degli eventi).
Pascale Moreau, direttrice dell’ufficio per l’Europa dell’UNHCR, ha incoraggiato “tutti gli Stati membri dell’UE ad adottare un approccio inclusivo e a concedere la protezione temporanea a questi gruppi di persone”.
In attesa dell’emanazione di un di DPCM che, sulla base della legge n. 85 del 2003 (di recezione della direttiva 55/2001), definisca le modalità e l’ambito di applicazione della suddetta disciplina, il nostro augurio non può che essere lo stesso.
Con sentenza pubblicata il 15 marzo 2022, la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo ha accertato la violazione dell’art. 6 § 1 (equo processo) nel caso Grzęda v. Poland (application no. 43572/18).
Nella fattispecie, il caso riguardava la rimozione del sig. Grzęda dal Consiglio nazionale della magistratura polacco (NCJ) e l’impossibilità da parte sua di ottenere un controllo giudiziario su tale decisione.
La sua rimozione aveva avuto luogo nel contesto delle riforme giudiziarie in Polonia che prevedevano, tra le altre, ulteriori poteri al procuratore generale (carica ricoperta ex officio dal ministro della giustizia) sull’organizzazione interna dei tribunali e sulla nomina e il licenziamento di presidenti e vicepresidenti dei tribunali; il trasferimento del potere di eleggere i membri giudiziari della NCJ dalla magistratura al Sejm (la camera bassa del Parlamento); la rimozione dall’incarico dei membri giudiziari della NCJ che erano stati eletti con il sistema precedente e la modifica delle responsabilità disciplinare dei giudici.
Il ricorrente lamentava dunque la violazione degli artt. 6 § 1 (diritto ad un giusto processo) e 13 CEDU (diritto ad un rimedio effettivo).
Con la decisione in commento, la Corte riconosceva che la mancanza di controllo giudiziario sulla decisione di rimozione aveva violato il diritto di accesso ad un tribunale del sig. Grzęda e che le riforme del sistema giudiziario polacco del 2017 miravano ad indebolire l’indipendenza e la terzietà dei giudici. La magistratura polacca aveva subito una indebita interferenza del potere esecutivo e del legislatore.
La sentenza della Grande Camera si inserisce così in un filone di pronunce emesse dalla Corte europea dei diritti dell’uomo riguardanti la riforme del sistema giudiziario e la crisi dello stato di diritto in Polonia.
Il 28 marzo 2022, alle ore 16.00 presso l’Aula Magna dell’Università di Sassari, si terrà il convegno dal titolo “Lotta contro il razzismo, la xenofobia e la discriminazione”. L’incontro vedrà la partecipazione dell’Avv. Prof. Anton Giulio Lana, Presidente dell’Unione forense per la tutela dei diritti umani, che interverrà per presentare l’Osservatorio sulla giurisprudenza CEDU avviato dall’Unione e finanziato dalla Fondazione Terzo Pilastro Internazionale. All’incontro, moderato dall’Avv. Antonietta Confalonieri, Referente della sezione Sardegna dell’UFDU, prenderanno inoltre parte: il Prof. Gavino Mariotti, Magnifico Rettore dell’Università di Sassari, la Prof. Paola Piras, Professoressa di diritto amministrativo nell’Università di Cagliari, l’Avv. Ivano Iai, Presidente del Conservatorio di Musica Luigi Canepa, e l’Avv. Sabina Useli, Presidente della sezione Sassari del Movimento Forense.
Sono stati riconosciuti n. 5 crediti formativi per gli avvocati dal Consiglio Nazionale Forense.
É possibile partecipare, in presenza o da remoto, inviando una email all’indirizzo info@unionedirittiumani.it.
Ai fini della partecipazione in presenza è necessaria l’esibizione di green pass in corso di validità ed è possibile prenotarsi fino al raggiungimento del limite massimo di 50 posti.