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Newsletter n. 2 dell’8 aprile 2025

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Sommario

La Corte di Strasburgo condanna l’Italia per il difetto di garanzie sufficienti nelle attività ispettive in materia di antiriciclaggio

Con sentenza del 6 febbraio 2025, la Corte europea dei diritti dell’uomo si è pronunciata sul caso Italgomme Pneumatici S.r.l. e altri c. Italia (ricorsi riuniti nn. 36617/18, 7525/19, 19452/19, 52473/19, 55943/19, 261/20, 7991/20, 8046/20, 20062/20, 34827/20, 26376/21, 28730/21 e 20133/22), in merito all’attività ispettiva della Guardia di Finanza e dell’Agenzia delle Entrate in materia di antiriciclaggio.

I ricorsi presentati alla Corte riguardavano gli accessi e ispezioni svolti da parte di funzionari o agenti delle suddette autorità presso i locali commerciali, le sedi legali o i locali adibiti ad attività professionali dei ricorrenti, al fine di valutare la loro conformità agli obblighi fiscali. Nello specifico, le misure adottate dalla Guardia di Finanza e dall’Agenzia delle Entrate venivano contestate sulla base dell’eccessiva portata dei poteri conferiti ad esse, nonché per la mancanza di garanzie procedurali idonee a proteggere da abusi coloro i soggetti sottoposti ad ispezioni o controlli.

I ricorrenti sostenevano che l’accesso e l’ispezione dei loro locali commerciali o dei locali utilizzati per attività professionali, nonché la copia o il sequestro dei loro registri contabili, libri societari e altri documenti fiscali, violassero l’art. 8 CEDU (diritto alla vita privata e familiare). In particolare, lamentavano l’inadeguatezza del quadro giuridico nazionale, il quale non delimitava sufficientemente l’ambito di discrezionalità conferito alle autorità nazionali nei procedimenti ispettivi, anche in ragione del fatto che le misure contestate non erano state sottoposte a un controllo giudiziario o indipendente ex ante né ad un effettivo controllo ex post.

La Corte, ritenuto ammissibile il ricorso, ha riscontrato una violazione dell’art. 8 CEDU. Infatti, pur tenendo in considerazione l’ampio margine di apprezzamento degli Stati in materia, la Corte ha ritenuto che “il quadro giuridico nazionale abbia concesso alle autorità nazionali un potere discrezionale illimitato sia per quanto riguarda le condizioni in cui le misure contestate potevano essere attuate, sia per quanto riguarda la portata di tali misure” e che “[a]llo stesso tempo, il quadro giuridico nazionale non forniva sufficienti garanzie procedurali, poiché le misure contestate, sebbene suscettibili di alcuni rimedi giuridici, non erano soggette a un controllo sufficiente.

Per tali ragioni, la Corte ha affermato che, sebbene la legislazione italiana abbia previsto una base giuridica generale per le misure in questione, tale legislazione non soddisfa il requisito della “qualità della legge” di cui all’art. 8 CEDU.

Dunque, ai sensi dell’art. 46 (forza vincolante ed esecuzione delle sentenze), la Corte ha ritenuto necessaria l’adozione di misure generali a livello nazionale, invitando l’Italia ad allineare la propria legislazione e prassi alle affermazioni contenute nella sentenza in commento.

Niort c. Italia: viola l’art. 3 CEDU (procedurale) la detenzione in carcere di una persona affetta da gravi disturbi psichiatrici

Con la recente sentenza resa nel caso Niort c. Italia, la Corte EDU ha accertato la violazione degli artt. 3, procedurale (divieto di trattamenti inumani e degradanti), 6 § 1 (diritto ad un equo processo) e 39 della Convenzione in un caso riguardante la detenzione ordinaria di una persona affetta da gravi disturbi psichiatrici.

Il ricorrente, infatti, pur soffrendo di doversi disturbi psichiatrici ed essendo tossicodipendente, veniva detenuto in carcere dal 2017 sino aggi (dove tentava più volte il suicidio) senza ricevere un adeguato trattamento medico.

In particolare, la Corte, valutata la condizione di vulnerabilità del ricorrente, riteneva che le autorità nazionali non avessero dimostrato di aver considerato in modo sufficientemente rigoroso la compatibilità dello stato di salute del signor Niort con la detenzione in carcere, così violando gli obblighi procedurali imposti dall’art. 3 CEDU.

In proposito, i giudici di Strasburgo ribadivano il principio per cui “s’il n’y a pas une obligation générale de libérer un détenu pour raisons de santé, dans certaines situations le respect de l’article 3 peut imposer la libération d’un détenu ou son transfert dans un établissement de soins (voir paragraphe 85 ci-dessus). Cela se vérifie, notamment, quand l’état de santé du détenu est d’une telle gravité que des mesures de nature humanitaire s’imposent (voir, entre autres, Bamouhammad, précité, § 123) ou quand la prise en charge n’est pas possible en milieu pénitentiaire ordinaire, de sorte que le détenu doit être transféré dans un service spécialisé ou dans une structure externe (voir paragraphe 82 ci-dessus, in fine, avec la jurisprudence y citée, ainsi que les documents du Conseil de l’Europe cités au paragraphes 53-54 ci-dessus). La Cour rappelle également que les autorités internes doivent examiner ces questions de manière approfondie, lorsqu’elles décident de placer une personne souffrant de troubles psychiques en prison”.

Inoltre, la Corte riscontrava la violazione dell’art. 6 § 1 della Convenzione in ragione della mancata esecuzione di un provvedimento giudiziario che disponeva il trasferimento del ricorrente in una struttura penitenziaria più adatta alle sue gravi condizioni.

Infine, veniva accertata l’ulteriore violazione dell’articolo 38 CEDU per il mancato rispetto dell’obbligo, da parte dello Stato italiano, di fornire tutte le informazioni necessarie per accertare i fatti della causa.

ILVA di Taranto: la Corte EDU condanna l’Italia per investigazioni non efficaci sulla morte di un lavoratore

Con sentenza del 27 marzo 2025, Corte europea dei diritti dell’uomo si è pronunciata sul caso Laterza e D’Errico c. Italia (ricorso n. 30336/22), riscontrando una violazione dell’art. 2 CEDU (diritto alla vita) sotto il profilo procedurale. Il caso riguardava la decisione di interrompere il procedimento penale avviato dai ricorrenti in merito alla morte del loro congiunto per un tumore polmonare, che, a loro dire, era stato causato dalla sua esposizione a sostanze tossiche sul posto di lavoro, la fabbrica di acciaio ex-Ilva di Taranto, ormai tristemente nota per l’inquinamento causato nelle zone limitrofe.

Nello specifico, G.L., impiegato tra il 1980 e il 2004 dall’ex-Ilva di Taranto, nel luglio 2010 decedeva a causa di un tumore polmonare. I suoi prossimi congiunti, il figlio e la moglie, presentavano denuncia contro ignoti per omicidio colposo sostenendo che la morte di G.L. era stata causata dalla sua prolungata esposizione sul posto di lavoro a sostanze tossiche utilizzate nella produzione dell’acciaio. Alla denuncia veniva allegata una perizia medica che affermava che G.L. era stato esposto in modo continuativo ad amianto e altre sostanze tossiche (benzene, idrocarburi e diossine) e che qualsiasi esposizione a tali sostanze costituiva un fattore di rischio per i tumori. La perizia concludeva per la sussistenza di un nesso causale tra la malattia e le attività dello stabilimento Ilva. Nel 2019 il pubblico ministero chiedeva l’archiviazione del caso, ritenendo che le prove raccolte non dimostrassero che la malattia che aveva causato la morte di G.L. fosse di natura professionale. Nel 2022 il giudice istruttore, pur ritenendo che non si potesse escludere una causa professionale per la condizione multifattoriale di G.L., archiviava il procedimento, ritenendo che per stabilire un nesso causale con la condizione di G.L. fosse necessario determinare il periodo in cui era stato esposto per la prima volta a sostanze nocive, ma che ciò era impossibile, poiché aveva lavorato sotto l’autorità di più persone.

A seguito di tale archiviazione, i ricorrenti presentavano ricorso davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo invocando l’aspetto procedurale dell’articolo 2 (diritto alla vita) della CEDU. I ricorrenti, infatti, sostenevano che le autorità nazionali avevano interrotto il procedimento penale senza tenere conto della perizia che dimostrava la correlazione tra le condizioni di G.L. e la sua esposizione a sostanze nocive sul luogo di lavoro e che, interrompendo le indagini, le autorità avevano scelto di non esaminare le prove che avrebbero permesso di identificare le persone responsabili delle misure di sicurezza nell’impianto.

La Corte ha osservato che, nel caso di specie, la decisione di archiviare il procedimento si era basata su un ragionamento circolare: poiché più persone erano state responsabili delle misure di sicurezza, era necessario determinare l’evento iniziale nel processo causale; tuttavia, proprio perché erano state coinvolte più persone, si era rivelato impossibile identificare tale evento. La Corte ha ritenuto che in un simile contesto, tenuto conto della giurisprudenza nazionale in materia e del fatto che un’origine professionale della patologia di G.L. non era stata esclusa in via preliminare, il giudice di merito avrebbe potuto disporre ulteriori indagini per accertare l’eventuale esistenza di un nesso causale tra l’esposizione a sostanze nocive e la malattia del deceduto, al fine di individuare i responsabili di eventuali violazioni delle misure di sicurezza.

Per tali ragioni, la Corte ha concluso che le indagini svolte non erano stata efficaci e ha riscontrato la violazione del profilo procedurale dell’art. 2 CEDU, senza però condannare l’Italia al risarcimento nei confronti dei ricorrenti a causa del difetto di richiesta di un equo indennizzo.

Corte costituzionale e adozioni internazionali: sì all’adozione da parte di single

Con la sentenza n. 33/2025 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 29-bis, comma 1, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), nella parte in cui, facendo rinvio all’art. 6, non include le persone singole residenti in Italia fra coloro che possono presentare dichiarazione di disponibilità a adottare un minore straniero residente all’estero, chiedendo al Tribunale per i minorenni di essere dichiarati idonei a tale scopo.

La Corte ha affermato che l’esclusione delle persone single dal novero dei soggetti legittimati ad accedere all’adozione internazionale si pone in contrasto con gli articoli 2 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. In particolare, richiamando la nozione di “vita privata” enucleata dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, la Consulta ha osservato che: “La disciplina censurata si riverbera sul diritto alla vita privata, inteso come libertà di autodeterminazione, che si declina, nel contesto in esame, quale interesse a poter realizzare la propria aspirazione alla genitorialità, rendendosi disponibile all’adozione di un minore straniero. Questo specifico interesse si coniuga, dunque, anche con una finalità di solidarietà sociale, in quanto rivolge le aspirazioni alla genitorialità a bambini o a ragazzi che già esistono e necessitano di protezione. Se scopo dell’adozione internazionale è quello di accogliere in Italia minori stranieri abbandonati, residenti all’estero, assicurando loro un ambiente stabile e armonioso, l’insuperabile divieto per le persone singole di accedere a tale adozione non risponde a una esigenza sociale pressante e configura – nell’attuale contesto giuridico-sociale – una interferenza non necessaria in una società democratica.”

In sostanza, la disciplina dichiarata illegittima comprimeva in modo sproporzionato l’interesse dell’aspirante genitore a rendersi disponibile rispetto a un istituto, qual è l’adozione, ispirato a un principio di solidarietà sociale a tutela del minore.

Convegno “Crimini nazisti e risarcimento del danno”

In data 27 marzo 2025 si è tenuto a Firenze, presso l’Auditorium COA “A. Zoli” dell’Ordine degli Avvocati di Firenze – Nuovo Palazzo di Giustizia (Viale A. Guidoni, 61), il Convegno “Crimini nazisti e risarcimento del danno”, organizzato dalla Sezione di Firenze di AIGA, dalla Sezione di Pistoia di AIGA, dalla Fondazione per la formazione forense dell’Ordine degli Avvocati di Pistoia e dalla Fondazione per la formazione forense dell’Ordine degli Avvocati di Firenze

I saluti istituzionali sono stati rivolti dal Presidente della Sezione di Firenze dell’Associazione nazionale ex deportati nei campi nazisti (ANED), il Dott. Lorenzo Tombelli.

A seguire, l’Avv. Prof. Anton Giulio Lana, Presidente dell’Unione forense per la tutela dei diritti umani, ha svolto un intervento sul diritto internazionale e le vicende del Terzo Reich.

Successivamente, l’Avv. Diego Cremona del Foro di Firenze, l’Avv, Cristina Florean del Foro di Verona, l’Avv. Vittoria Hayun del Foor di Firenze e l’Avv. Iacopo Casetti del Foro di Firenze hanno approfondito le diverse problematiche relative al diritto al risarcimento per le vittime dei crimini del Terzo reich e all’accesso al Fondo per loro istituito dall’art. 43 del d.l. 36/2022.

L’evento si è concluso con una breve testimonianza della sig.ra Franca Maidai, sopravvissuta alle stragi.

La locandina dell’evento può essere scaricata qui.

Si segnala il Seminario “ESG, impresa e diritti umani: le prospettive aperte dalle direttive Due diligence e Corporate sustainability reporting”

In data 15 aprile p.v. si terrà a Roma, presso la Sala Lauree della Scuola di Economia e Studi Aziendali dell’Università degli Studi Roma Tre, il Seminario “ESG, impresa e diritti umani: le prospettive aperte dalle direttive Due diligence e Corporate sustainability reporting”, organizzato dall’Università Roma Tre e dall’Unione forense per la tutela dei diritti umani (UFDU).

Dopo i saluti istituzionali, che verranno rivolti dal Prof. Luca Salvatici, Coordinatore del Corso di Laurea Magistrale in Economia dell’Ambiente, Lavoro e Sviluppo Sostenibile Università degli Studi Roma Tre, il Seminario sarà ripartito in tre sessioni.

La prima sessione, dedicata a “Due diligence e sostenibilità sociale: nuovi parametri d’impresa, attori e filiere”, sarà moderata dalla Prof.ssa Silvia Ciucciovino, Ordinaria di Diritto del Lavoro e Responsabile scientifico del Laboratorio ED&I presso l’Università degli Studi Roma Tre e vedrà gli interventi del Prof. Ilario Alvino, della Dott.ssa Maria Giovannone, della Dott.ssa Marcella Scillieri, dell’Avv. Maria Cristina Muglia, della Dott.ssa Miriam Durini.

A seguire, la seconda sessione dal titolo “La governance dei rischi ESG: responsabilità degli amministratori e ruolo del collegio sindacale”, moderata dalla Prof.ssa Sabrina Bruno, Ordinaria di Diritto Commerciale nelle Università UNICAL e LUISS Guido Carli, prevede le relazioni della Dott.ssa Luisa Palermo, del Prof. Paolo Valensise e della Dott.ssa Martina Rogato.

Successivamente, la terza e ultima sessione sarà dedicata a “La tutela giudiziale e stragiudiziale dei diritti umani” e sarà moderata dall’Avv. Prof. Anton Giulio Lana, Presidente di UFDU, con l’intervento della Prof.ssa Cristiana Carletti, dell’Avv. Francesco Rosi e dell’Avv. Alessio Sangiorgi.

L’evento verrà concluso dal Min. Plen. Giovanni Battista Iannuzzi, Presidente del Comitato interministeriale per i diritti umani (CIDU).

Il Seminario è stato accreditato presso il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma per n. 2 crediti formativi.

Il programma dell’evento può essere scaricato qui.

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