Con sentenza del 30 gennaio 2025, la Corte europea dei diritti dell’uomo si è pronunciata sul caso Cannavacciuolo e altri c. Italia (ricorsi riuniti nn. 39742/14, 51567/14, 74208/14 e 24215/15), riguardante lo smaltimento illegale di rifiuti in zone della Campania.
La vicenda alla base della pronuncia riguardava lo scarico illegale, l’abbandono o l’interramento di rifiuti pericolosi su terreni privati nella zona nota come “Terra dei Fuochi”, un’area di novanta comuni nelle province di Caserta e Napoli, con una popolazione di circa 2,9 milioni di abitanti. Tali rifiuti venivano spesso bruciati, generando emissioni di diossina pericolose per la salute dei residenti. Queste operazioni erano controllate dalla criminalità organizzata e il problema era noto alle autorità almeno a partire dal 1988.
Nel corso degli anni, nell’area della Terra dei Fuochi è stato registrato un aumento dei tassi di cancro e dell’inquinamento delle falde acquifere. Ciò ha portato all’istituzione di ben sette commissioni parlamentari d’inchiesta sull’illegalità della gestione dei rifiuti nella Terra dei Fuochi e le relative conseguenze. Dalle inchieste condotte sono emersi i principali problemi legali legati alla questione, tra cui la deterrenza “praticamente inesistente” da parte delle autorità, la mancanza della “necessaria fermezza” nella risposta dello Stato, la quasi impossibilità di ottenere condanne per reati ambientali e, tra l’altro, i brevi periodi di prescrizione, accompagnati da piani di bonifica carenti e lunghi ritardi nell’agire.
I ricorsi venivano presentati, in varie date tra il 28 aprile 2014 e il 15 aprile 2015, da quarantuno cittadini residenti nelle province affette dalle operazioni di smaltimento illegale dei rifiuti e da cinque organizzazioni con sede in Campania. Invocando l’art. 2 CEDU (diritto alla vita) e l’art. 8 CEDU (diritto al rispetto della vita privata e familiare), i ricorrenti lamentavano che le autorità italiane non avevano adottato misure per proteggere i residenti dallo scarico, dall’interramento e dall’incenerimento illegali di rifiuti pericolosi nelle loro zone né avevano fornito loro informazioni al riguardo.
La Corte ha respinto, per difetto della qualità di vittima (incompatibilità ratione personae), i ricorsi presentati dalle associazioni e da alcuni dei singoli richiedenti che non vivevano nei comuni ufficialmente elencati.
In relazione ai ricorsi ritenuti ammissibili, la Corte, riconoscendo l’esistenza di un rischio per la vita “sufficientemente grave, reale e accertabile”, che poteva essere qualificato come “imminente”, ha ritenuto che il caso rientrasse nell’ambito dell’art. 2 CEDU. La Corte ha ritenuto che le autorità italiane non avessero affrontato il problema della Terra dei Fuochi con diligenza e la tempestività rese necessarie dalla gravità della situazione, nonostante fossero a conoscenza del problema da molti anni. Lo Stato italiano, ad avviso della Corte, non ha fatto tutto ciò che era richiesto per proteggere le vite dei ricorrenti, in particolare in relazione alla valutazione del problema, alla prevenzione della sua continuazione e alla comunicazione al pubblico interessato. In linea con un approccio precauzionale e con il fatto che il problema dell’inquinamento era noto da molto tempo, la Corte ha evidenziato che l’Italia non avrebbe potuto ignorare il proprio dovere di protezione sulla base del fatto che gli effetti precisi dell’inquinamento sulla salute di un particolare ricorrente non potevano essere accertati.
La Corte, poiché le argomentazioni relative all’art. 8 CEDU erano le stesse di quelle già decise in base all’art. 2 CEDU, ha ritenuto non necessario esaminare la questione sotto il profilo di quest’ultimo.
I giudici europei hanno stabilito, all’unanimità, che l’Italia deve elaborare una strategia globale per affrontare la situazione della Terra dei Fuochi, istituire un meccanismo di monitoraggio indipendente e creare una piattaforma di informazione pubblica. Il termine previsto per tali adempimenti è di due anni, nel corso dei quali gli altri ricorsi pendenti (circa 4.700) saranno sospesi. La Corte si è riservata di pronunciarsi sul danno non patrimoniale entro e non oltre due anni dal passaggio in giudicato della sentenza, ad eccezione degli importi dovuti a titolo di costi e spese, che dovranno essere liquidati dall’Italia da subito.
La sentenza è particolarmente importante perché la Corte, discostandosi dalla sua giurisprudenza, anche recente, orientata a ricondurre analoghe fattispecie nell’alveo dell’art. 8 CEDU (diritto al rispetto della vita privata e familiare), ha ravvisato – come sopra chiarito – la violazione del ben più grave diritto alla vita, tutelato dall’art. 2 CEDU.
La prima sezione civile della Cassazione – chiamata a pronunciarsi sul ricorso proposto dal Ministero dell’interno e dal Questore della Provincia di Roma avverso il decreto con cui il Tribunale di Roma (ne abbiamo parlato qui) non convalidava il trattenimento in Albania di un migrante proveniente dall’Egitto – ha emesso una significativa ordinanza interlocutoria, rinviando, tuttavia, la causa a nuovo ruolo.
La Suprema Corte ha ritenuto di doversi astenere, per il momento, dal pronunciarsi sul ricorso e di dover attendere, nell’ottica del dialogo leale fra le supreme corti, la decisione della Corte di giustizia Europea nell’ormai prossima udienza del 25 febbraio 2025.
La Corte di Giustizia si pronuncerà, infatti, su plurimi ricorsi pregiudiziali, avanzati tanto da giudici italiani del merito quanto dal Tribunale amministrativo regionale di Berlino, su una serie di quesiti interferenti con la decisione del caso concreto, sicuramente “in grado di fornire alla S.C., nel suo fondamentale ruolo di organo nomofilattico, la possibilità di dettare un principio di diritto destinato ad operare anche per il futuro che tenga conto dei principi che varranno espressi dalla corte sovranazionale”.
In ogni caso, la Cassazione ha prospettato la seguente ipotesi di interpretazione della pertinente disciplina: “Nell’ambiente normativo anteriore al decreto-legge n. 158 del 2024 e alla legge n. 187 del 2024, la designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro può essere effettuata, attraverso un decreto ministeriale, con eccezioni di carattere personale. Tuttavia, la procedura accelerata di frontiera non può applicarsi là dove, anche in sede di convalida del trattenimento, il giudice ravvisi sussistenti i gravi motivi per ritenere che il paese non è sicuro per la situazione particolare in cui il richiedente si trova. In ogni caso, le eccezioni personali, pur compatibili con la nozione di paese di origine sicuro, non possono essere ammesse senza limiti. Tali eccezioni, infatti, non sono ammesse a fronte di persecuzioni estese, endemiche e costanti, tali da contraddire, nella sostanza, il requisito dell’assenza di persecuzioni che avvengano generalmente e costantemente, secondo l’allegato I alla direttiva 2013/32, perché, altrimenti, sarebbe gravemente pregiudicato il valore fondamentale della dignità e, con esso, la connotazione dello Stato di origine come Stato di diritto, il quale postula il rispetto delle minoranze nel nucleo irriducibile dei diritti fondamentali della persona.
Il giudice della convalida, garante, nell’esame del singolo caso, dell’effettività del diritto fondamentale alla libertà personale, non si sostituisce nella valutazione che spetta, in generale, soltanto al Ministro degli affari esteri e agli altri Ministri che intervengono in sede di concerto, ma è chiamato a riscontrare, nell’ambito del suo potere istituzionale, in forme e modalità compatibili con la scansione temporale urgente e ravvicinata del procedimento de libertate, la sussistenza dei presupposti di legittimità della designazione di un certo paese di origine come sicuro, rappresentando tale designazione uno dei presupposti giustificativi della misura del trattenimento. Pertanto, egli è chiamato a verificare, in ipotesi limite, se la valutazione ministeriale abbia varcato i confini esterni della ragionevolezza e sia stata esercitata in modo manifestamente arbitrario o se la relativa designazione sia divenuta, ictu oculi, non più rispondente alla situazione reale (come risultante, ad esempio, dalle univoche ed evidenti fonti di informazione affidabili ed aggiornate sul paese di origine del richiedente)”.
In data 28 febbraio p.v. si terrà a Firenze, presso l’Auditorium COA “A. Zoli” (Piano 0) del Palazzo di Giustizia, il Convegno “Specializzazioni: presente e futuro dell’Avvocatura: Strumenti di eccellenza per gli Avvocati di oggi e di domani”, organizzato dal Coordinamento delle Associazioni specialistiche forensi.
I saluti istituzionali saranno rivolti dal Presidente del CNF, l’Avv. Francesco Greco, e dal Presidente del COA di Firenze, l’Avv. Sergio Paparo.
A seguire, l’Avv. Tatiana Biagioni (Presidente di AGI – Avvocati Giuslavoristi Italiani), l’Avv. Prof. Anton Giulio Lana (Presidente di UFDU – Unione forense per la tutela dei diritti umani) e il Prof. Avv. Claudio Cecchella (Presidente di ONDiF – Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia) parleranno della nascita del Coordinamento delle Associazioni specialistiche forensi, creato al fine di fornire sostegno ai percorsi di specializzazione degli Avvocati.
L’evento prevede numerosi focus e riflessioni sulle diverse materie oggetto dei corsi di specializzazione per avvocati: diritto penale, diritto civile e commerciale, diritto del lavoro, diritto tributario, diritto amministrativo, diritto di famiglia, diritto dell’unione europea, diritto internazionale, negoziazione e mediazione. Ciascuna materia sarà illustrata dai presidenti o rappresentanti delle Associazioni specialistiche presenti all’importante iniziativa.
Il Convegno è in corso di accreditamento per il riconoscimento dei crediti formativi e deontologici.
La locandina dell’evento può essere scaricata qui.
Sono aperte le iscrizioni per la II edizione del Corso di specializzazione per Avvocato internazionalista (di seguito il “Corso”), che avrà inizio a partire dal 28 marzo 2025.
Il Corso, diretto dall’Avv. Prof. Anton Giulio Lana, viene organizzato dalla Scuola Nazionale di Alta Formazione Specialistica dell’Unione forense per la tutela dei diritti umani (di seguito, UFDU) – iscritta nell’elenco delle associazioni forensi specialistiche maggiormente rappresentative ai sensi dell’art. 35, co. 1, lett. s) della legge 31 dicembre 2012 n. 247 – in convenzione con il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma, l’Università degli Studi di Roma UnitelmaSapienza e il Dipartimento di Diritto e società digitale dell’Università degli Studi di Roma UnitelmaSapienza, nonché d’intesa con il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli”, il Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Firenze, il Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Udine, l’Università di Macerata.
Il Corso ha durata biennale per un totale di 216 ore di formazione (come previsto dalla normativa nazionale). L’iscrizione è aperta agli avvocati iscritti a uno degli albi degli ordini forensi nazionali ai fini del conseguimento del titolo di avvocato specialista.
Il primo anno di Corso inizierà in data 28 marzo 2025 e terminerà il 24 aprile 2026, mentre il secondo anno inizierà in data 8 maggio 2026 e terminerà il 14 marzo 2027. Sarà possibile iscriversi al Corso sino al 18 marzo 2025.
Il Consiglio nazionale forense ha riconosciuto 20 crediti formativi per ciascun anno di Corso.
Sono bandite tre borse di studio a copertura parziale (50%) della quota prevista per l’iscrizione al Corso. La Cassa Forense ogni anno mette a disposizione delle sovvenzioni per chi si iscrive a iniziative/corsi di specializzazione (vedi bando n. 5/2024 della Cassa Forense).
Ulteriori informazioni, anche relativamente ai costi di iscrizione, si possono consultare sul sito dell’Unione forense per la tutela dei diritti umani. Per qualsiasi ulteriore informazione è possibile scrivere al seguente indirizzo di posta elettronica: scuola@avvocatointernazionalista.com.