Con sentenza pubblicata in data 14 gennaio 2021, nel caso Terna c. Italia, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per violazione dell’articolo 8 CEDU (che tutela il diritto al rispetto della vita privata e familiare), poiché non ha adottato misure idonee a garantire il legame familiare tra una nonna e la nipote.
La vicenda aveva avuto origine dall’allontanamento di una minore dalla casa della nonna, la quale si era occupata di lei sino a quel momento, per via della condanna all’esito di un procedimento penale di quest’ultima, con contestuale affidamento ad altra famiglia. A seguito di tali eventi la nonna si era rivolta al Tribunale per i Minorenni, affinché le fossero garantiti gli incontri con la nipote. La pronuncia favorevole del Tribunale non era stata però ottemperata dalle autorità competenti.
Per questi motivi la ricorrente ha deciso di presentare ricorso dinnanzi alla Corte EDU, lamentando uno stigma da parte delle autorità relativo al fatto che la sua famiglia fosse di origine rom. I giudici di Strasburgo hanno anzitutto ribadito che i rapporti nonni-nipoti rientrano nella sfera applicativa di cui all’art. 8 CEDU e che le autorità devono adoperare tutti i mezzi necessari al fine di mantenere il suddetto legame familiare, con una certa speditezza dovuta alla delicatezza della materia.
Ha poi riscontrato che nel caso di specie la decisione del Tribunale per i minorenni, la quale aveva statuito in favore degli incontri tra nonna e nipote, era rimasta ineseguita a causa di una strutturale problematica italiana sul punto.
Nella sentenza in commento, la Corte europea non ha invece riconosciuto la doglianza di violazione dell’art. 14 CEDU, in ragione di lamentate discriminazioni dovute all’etnia rom della famiglia, ritenendo che tutte decisioni prese dalle autorità italiane siano state dettate sulla base del solo interesse superiore della minore.
La Corte di Appello di Ancona, con la sentenza n. 45/2021, patrocinata dall’Avv. Francesco Rosi, ha ancora una volta condannato il Ministero della Salute in conseguenza della condotta omissiva in materia di farmacovigilanza ed emotrasfusioni.
Gli eredi della signora deceduta hanno instaurato un giudizio per il danno subito in proprio per la perdita di un loro caro.
Nella sentenza in commento, la Corte d’Appello, accogliendo il gravame proposto dagli eredi, ha ribadito un principio già espresso dalla Cassazione, ossia il diritto che i congiunti vantano, autonomamente, sebbene in via riflessa, ad essere risarciti dalla medesima struttura dei danni direttamente subiti da perdita del rapporto parentale, e non solo per quello subito direttamente dalla signora a seguito di emotrasfusioni.
È dovuto l’assegno di divorzio alla moglie ultracinquantenne, anche nella misura in cui la stessa non si adoperi per la ricerca di un lavoro.
Con l’ordinanza n. 289 del 12 gennaio 2021, la Cassazione ha rigettato il ricorso, proposto dall’ormai ex marito, avverso una sentenza della Corte d’Appello che riduceva l’assegno divorzile dovuto dal marito nei confronti della moglie, poiché questi voleva provvedere solo ed esclusivamente al mantenimento della prole, stante l’indisponibilità dell’ex moglie a trovarsi un lavoro.
Gli Ermellini hanno giudicato il ricorso inammissibile, sulla base del fatto che la Corte d’Appello, contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, aveva ampiamente motivato la sua scelta di non eliminare in toto l’assegno di mantenimento.
La Corte d’Appello, nella sentenza impugnata, asseriva che non fosse realistico che la signora di anni 53, senza alcuna pregressa esperienza lavorativa, potesse proficuamente inserirsi nel mondo del lavoro.
Con ordinanza del 18 gennaio 2021, il Tribunale di Roma, Sezione specializzata immigrazione, ha accolto il ricorso di un richiedente asilo pachistano che nell’estate del 2020 era stato trovato dalla polizia italiana a Trieste e respinto oltre confine, in Slovenia, in applicazione di un accordo bilaterale del 1996. In esito a tale espulsione, il richiedente era stato poi respinto verso la Croazia, dove aveva subito maltrattamenti e infine era stato espulso in Bosnia. Secondo la giudice, dott.ssa Silvia Albano, il ricorrente ha subito un vero e proprio respingimento a catena, in violazione dell’art. 10, co. 3 Cost., oltre che in contrasto la Carta dei diritti fondamentali dell’UE, la CEDU e l’accordo bilaterale stesso. Invero, le riammissioni avvengono senza alcun provvedimento amministrativo impugnabile e senza che il richiedente asilo sia messo nella possibilità di accedere alla procedura di riconoscimento della protezione internazionale.
Tra l’altro, secondo la giudice Albano, il governo italiano – alla luce dei report delle organizzazioni non governative, delle risoluzioni dell’UNHCR e delle inchieste dei più importanti organi di stampa internazionale – aveva “tutti gli strumenti per sapere che le “riammissioni informali” avrebbero esposto i migranti, anche i richiedenti asilo, a trattamenti inumani e degradanti”.
Alla luce di quanto sopra, il tribunale ha accolto il ricorso cautelare e dichiarato il diritto del richiedente asilo a presentare domanda di protezione internazionale in Italia, ordinando alle autorità competente di emanare gli atti necessari a permettere il suo immediato ingresso nel territorio dello Stato.
Con l’ordinanza 1476/2021 del 25 gennaio 2021, la Prima sezione civile della corte di Cassazione, si è pronunciata su un ricorso di una madre contro la decisione della Corte di appello che aveva confermato lo stato di adottabilità della figlia, mutuando per la prima volta nel nostro ordinamento, sulla scorta della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, il concetto “adozione mite”, che non recide cioè il legame con la famiglia biologica, relegando l’adozione legittimante al ruolo di extrema ratio.
La minore era stata separata dalla madre a soli cinque mesi e nei successivi due anni erano stati effettuati solo due incontri. Successivamente il terremoto delle Marche del 2016 aveva reso inagibili i locali dove si erano svolti i primi incontri. Avverso i numerosi impedimenti del caso la madre, che pure riconosceva di non essere in grado di prendersi cura da sola della minore, si era sempre battuta svolgendo anche incontri preparatori con gli assistenti sociali al fine di mantenere un legame con la figlia.
I giudici di legittimità hanno individuato lo strumento normativo nel quale far rientrare la nuova nozione dell’adozione mite, nell’articolo 44, lett. d) della legge 184/1983, la c.d. adozione in casi particolari, norma di chiusura della normativa in materia di adozione, interpretata estensivamente nel caso di specie.
Con questa importante sentenza, si intende dare copertura a tutti quei casi in cui il giudice accerti sulla base del preminente interesse del minore l’opportunità di non recidere il legame con i genitori biologici, ipotesi estrema attuabile solo nel caso di insanabile incapacità da parte dei genitori.
Con sentenza n. 179/2020, la Corte dei conti, III Sezione Giurisdizionale Centrale di Appello, ha accolto il ricorso in appello di un comandante di Polizia condannato dal collegio di prime cure per danno erariale.
La vicenda ha origine dalla contestazione della responsabilità di un dirigente, nello specifico Comandante di Polizia, in merito a fatti inerenti l’iter connesso alla realizzazione delle postazioni dell’autovelox. Dopo un periodo di prova, il comandante aveva deciso di prolungare il pre-esercizio, poiché erano emerse alcune problematiche sul funzionamento della macchina.
La scelta di differire l’avvio dell’autovelox ha portato all’illegittimità delle contestazioni avvenute durante il prolungamento del periodo di prova (quando secondo gli accordi iniziali il suddetto autovelox avrebbe dovuto essere in funzione). La Corte dei Conti della Regione Veneto aveva riconosciuto il danno erariale sulla base della mera sussistenza del fatto di non aver portato all’incasso le sanzioni dell’autovelox.
La Corte centrale di appello ha, al contrario, valutato la questione muovendo dal comportamento del comandante, non dal danno, e pertanto ha stabilito se effettivamente fosse corretto modificare la procedura originaria prevista e ricondurre all’interno dell’organismo di polizia i controlli.
La Corte ha, dunque, mandato assolto il Comandante ritenendo che il medesimo abbia correttamente operato, ristabilendo la legittima procedura e pertanto il comportamento non poteva essere causativo di danno.
È nella responsabilità del dirigente del Comando di Polizia o comunque rientra nella funzione pubblica la gestione degli accertamenti delle violazioni dei limiti di velocità: il buon andamento e la correttezza delle procedure prevalgono perfino sull’economicità.
Con sentenza n. 12348/2020, il Tribunale Ordinario di Roma è entrato nel merito della questione relativa all’esclusione del socio della cooperativa.
La vicenda è originata dall’impugnazione da parte di alcuni (ex) soci di una società cooperativa della delibera del Consiglio di Amministrazione che li escludeva dalla suddetta società, con conseguente revoca di alcuni alloggi agli stessi assegnati secondo la disciplina dell’edilizia agevolata.
I soci non possono decidere se, quando e come adempiere alle obbligazioni assunte nei confronti della cooperativa e alle richieste di pagamento avanzate dagli organi della cooperativa stessa, disinteressandosi delle sorti della cooperativa di cui fanno parte e rimanendo inerti a fronte del sollecito e alla diffida di pagamento.
L’inadempimento colpevole degli attori è stato considerato di rilevante gravità, atteso che in una società cooperativa il raggiungimento dell’oggetto sociale si fonda proprio sul regolare adempimento degli obblighi da parte di tutti i soci, obblighi che includono anche la responsabilità per eventuali debiti contratti dalla società stessa. Gli oramai ex soci di fatto avevano mancato di contribuire al pagamento degli oneri assunti dalla Cooperativa. Gli attori asserivano di aver versato delle somme inerenti al prezzo massimo di cessione fissato per gli alloggi, e di non voler pagare un prezzo maggiore.
Tuttavia, il Tribunale ha ritenuto che una cosa è il prezzo massimo di cessione, altra cosa sono i debiti, per i quali il socio è responsabile, alla pari, secondo il principio mutualistico che permea il sistema cooperativistico, nel rispetto dei principi statutari.
In data 11 febbraio 2021, è entrata in vigore la legge n. 15 del 15 gennaio 2021, che prevede la ratifica e l’ordine di esecuzione del Protocollo n. 15 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, adottato a Strasburgo il 24 giugno 2013 e recante modifiche alla Convenzione stessa.
Il Protocollo, per la cui entrata in vigore era necessaria la ratifica di tutti gli Stati parte della Convenzione, introduce nello specifico alcune modifiche alla procedura davanti alla Corte europea dei diritti umani prevedendo, in particolare, che il ricorso alla Corte EDU debba essere presentato entro 4 mesi dalla pronuncia interna definitiva, in luogo degli attuali 6 mesi previsti all’art 35, § 1 CEDU. Ulteriori novità riguardano il sistema di rimessione di una questione alla Grande Camera, con l’eliminazione del sistema di veto attualmente concesso alle parti in giudizio, e l’eliminazione per quanto attiene la condizione di ricevibilità del pregiudizio importante.
La riduzione da 6 a 4 mesi è una modifica che impatta in modo significativo sull’accesso alla Corte e, più in generale, sul diritto di difesa. Nel corso degli anni, gli Stati parte della Convenzione, hanno ratificato il Protocollo e, ad oggi, manca solo la ratifica da parte dell’Italia. Quando si completerà l’iter delle formali procedure di deposito presso la CEDU e saranno decorsi i termini procedurali previsti, il Protocollo entrerà in vigore.
Recentemente è entrato a far parte dello Studio l’Avvocato Francesco Rosi, esperto in diritto amministrativo e diritto dell’Unione europea. L’Avv. Rosi è, altresì, esperto di procedure arbitrali, di conciliazione e di mediazione nazionali ed internazionali.
Nel contempo, abbiamo ritenuto di rinnovare la nostra immagine online attraverso un nuovo sito web che meglio rappresenta l’attuale composizione dello Studio Lana