La ventiseiesima Conferenza delle Parti (COP) ha riunito a Glasgow i Paesi firmatari della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, insieme ad osservatori ed altri esponenti della società civile.
Da molti considerata l’ultima opportunità per adottare le soluzioni necessarie ad affrontare i cambiamenti climatici, l’agenda della Cop26 si prefissava i seguenti obiettivi:
Con riguardo a quest’ultimo punto, risulta di particolare rilievo la dichiarazione congiunta sottoscritta mercoledì 10 novembre u.s. da Cina e Stati Uniti, principali produttori di emissioni di gas serra. Oltre a ribadire obiettivi già prefissati, hanno affermato « their intention to work individually, jointly, and with other countries during this decisive decade, in accordance with different national circumstances, to strengthen and accelerate climate action and cooperation aimed at closing the gap, including accelerating the green and low-carbon transition and climate technology innovation« . Tale dichiarazione arriva in un momento di incertezza circa l’impegno della Cina nella lotta al cambiamento climatico nonché di forti tensioni tra le due superpotenze. Pertanto, è stata recepita come un significativo segnale politico, quasi ad affermare che l’emergenza climatica è tale da sormontare i rapporti tra i singoli Stati.
Nel corso delle trattative sono emerse altre iniziative, come il Global Methane Pledge, promosso da Stati Uniti, Unione Europea ed altri partners, e sottoscritto da circa 105 Paesi con l’intento di ridurre le emissioni di metano del 30% entro il 2030; o ancora la Beyond Oil and Gas Initiative (Boga), promossa da Danimarca e Costa Rica ed avente ad oggetto lo stop a nuove licenze e concessioni per la produzione e l’esplorazione di petrolio e gas. I grandi produttori di petrolio non hanno però aderito, mentre l’Italia partecipa solamente in qualità di « amico ».
Tuttavia, il risultato delle negoziazioni è molto meno coraggioso di quello che gli esperti affermano essere necessario: oltre al carattere non vincolante degli impegni assunti dagli Stati, molte questioni restano ancora da risolvere, tra cui il progressivo abbandono del carbone. Sono infatti solamente 46 Stati ad aver promesso di raggiungere la neutralità carbonica, ma con traguardi scaglionati che vanno dal 2030 per la maggior parte delle economie avanzate, ma arrivano fino al 2070 per attori chiave come l’India.
Con la sentenza n. 32198, pubblicata in data 5 novembre 2021, le Sezioni Unite della Cassazione sono intervenute al fine di dirimere un contrasto giurisprudenziale relativo alla sorte dell’assegno di divorzio nel momento in cui il coniuge economicamente più debole instauri una stabile convivenza con un nuovo compagno.
La vicenda originava dal ricorso in Cassazione proposto dalla signora T. avverso la Sentenza della Corte di Appello di Venezia n. 470/2016, che, per quanto in questa sede rileva, disponeva l’affido esclusivo della figlia, escludendo l’obbligo in capo all’ex marito di corrispondere alla ricorrente un assegno divorzile in ragione dell’instaurarsi di una sua stabile convivenza con un nuovo compagno, da cui aveva avuto anche una figlia.
La Corte d’Appello faceva applicazione del principio di diritto espresso dalla Cassazione n. 6855 del 2015, in basa al quale la formazione di una nuova famiglia, anche di fatto, fa venir meno in via definitiva i presupposti dell’assegno divorzile.
Avverso tale sentenza venivano proposti quattro motivi di ricorso per Cassazione e, tra gli altri, veniva sollevata la violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 10, nella parte in cui la Corte di appello di Venezia stabiliva che “la semplice convivenza more uxorio con altra persona provochi, senza alcuna valutazione discrezionale del giudice, l’immediata soppressione dell’assegno divorzile”.
Con la ordinanza interlocutoria n. 28995/2020, la prima sezione civile della Corte di Cassazione, constatata la presenza di orientamenti contrastanti in materia, rimetteva la questione alle sezioni Unite.
Le Sezioni Unite, con la sentenza in commento, nell’accogliere il ricorso affermavano il principio per cui “l’instaurazione da parte dell’ex coniuge di una stabile convivenza di fatto, giudizialmente accertata, incide sul diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio o alla sua revisione nonchè sulla quantificazione del suo ammontare, in virtù del progetto di vita intrapreso con il terzo e dei reciproci doveri di assistenza morale e materiale che ne derivano, ma non determina, necessariamente, la perdita automatica ed integrale del diritto all’assegno”.
Bisognerà quindi differenziare tra la componente assistenziale dell’assegno divorzile, che non sarà più dovuta in virtù del principio di autoresponsabilità, e la componente compensativa, che invece potrà continuare ad essere liquidata in presenza di taluni presupposti, tra cui la prova del contributo apportato alla comunione familiare o eventuali rinunce concordate durante la vita matrimoniale ad offerte di lavoro.
Il Tribunale di Milano a distanza di pochi giorni ha depositato due provvedimenti, il primo il 26 ottobre il secondo il 9 novembre, con cui ha espresso il principio della trascrivibilità degli atti di nascita prodotti all’estero che riconoscano due padri come genitori di bambini nati dalla c.d. “gestazione per altri”.
Il Tribunale ha ribadito che l’istituto dell’adozione non è uno strumento capace di assicurare una giusta tutela ai bambini in suddette fattispecie poiché l’atto di nascita andrà trascritto e riconosciuto integralmente in quanto “la tutela del minore non può essere sospesa a tempo indeterminato nell’attesa che il legislatore vari una normativa”.
I due provvedimenti costituiscono un importante passo avanti rispetto all’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 19231 del 2019 che stabiliva, in caso di gestazione per altri, la possibilità di riconoscere in Italia esclusivamente il genitore biologico, mentre quello c.d. “intenzionale” potrebbe ricorrere esclusivamente all’adozione in casi particolari.
Il Tribunale di Milano, in sostanza, supera l’orientamento della Cassazione dando attuazione all’ advisory opinion ex Protocollo 16 espressa nel 2019 dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo e ai principi stabiliti dalla Corte Costituzionale nella sentenza 33/2021, con cui si rivolgeva un “forte monito” al legislatore affinché intervenisse “nell’ormai indifferibile individuazione delle soluzioni in grado di porre rimedio all’attuale situazione di insufficiente tutela degli interessi del minore”.
Con la sentenza Succi e altri c. Italia la Corte europea dei diritti dell’uomo condanna l’Italia per violazione dell’articolo 6 § 1 CEDU (diritto di acceso ad un tribunale).
Nella fattispecie i ricorrenti, con tre ricorsi separati, adivano la Corte lamentando la violazione dell’articolo 6 § 1 della CEDU e sostenendo che il rigetto dei loro ricorsi per motivi di diritto da parte della Corte di Cassazione fosse addebitabile ad un’applicazione eccessivamente formalistica delle regole di redazione dei ricorsi.
La Corte di Strasburgo si è trovata quindi a dover valutare se la pronuncia stessa di inammissibilità di un ricorso in Cassazione possa intaccare la sostanza del diritto del ricorrente ad adire un tribunale, stabilendo se le stringenti condizioni imposte per la redazione di un ricorso in Cassazione perseguissero, nei casi di specie, uno scopo legittimo e proporzionato.
Nella sentenza in esame la Corte, dopo un’attenta analisi, ha ritenuto legittimo il principio di autosufficienza del ricorso così come espresso dalla Corte di Cassazione: esso, infatti, tende a semplificare l’attività del nostro Giudice di legittimità e, allo stesso tempo, ad assicurare la certezza del diritto, nonché la buona amministrazione della giustizia.
Tuttavia, dopo un esame in concreto dell’applicazione dell’anzidetto principio, la Corte di Strasburgo nel primo dei tre casi (n. 55064/11) ha ritenuto effettivamente sussistente la violazione dell’art. 6 § 1 CEDU, constatando l’eccessivo formalismo adottato dalla Corte nostrana.
La lettura del ricorso in Cassazione dimostrava infatti che i requisiti di ammissibilità del ricorso erano stati rispettati e che i passaggi pertinenti della sentenza impugnata erano stati riprodotti e che, nel citare i documenti della procedura di merito utili per sviluppare il suo ragionamento, il ricorrente aveva trascritto i brani pertinenti e indicato i riferimenti ai documenti originali, così permettendone l’identificazione tra quelli depositati con il ricorso.
In questo senso la Corte ha ritenuto assolto il principio di autosufficienza del ricorso, sancendo l’illegittimità del rigetto dello stesso da parte della Corte Cassazione e condannando così l’Italia per la violazione dell’articolo 6 § 1 CEDU.
L’Unione forense organizza la XXII edizione del corso di specializzazione sulla “Tutela europea dei diritti umani”.
Primo del suo genere in Italia, il corso è rivolto allo studio del funzionamento del sistema di tutela dei diritti fondamentali, con un particolare focus sul sistema della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e delle tutele previste nel diritto dell’Unione europea. Il corso ha ricevuto il Patrocinio del Consiglio d’Europa e del Consiglio Nazionale Forense, nonché l’accreditamento di n. 18 crediti formativi da parte del CNF per la formazione professionale degli avvocati. Verrà, inoltre, rilasciato un attestato di partecipazione al termine del corso.
Il corso si articolerà in una serie di sei incontri, della durata di tre ore ciascuno, i seguenti venerdì: 5 novembre, 12 novembre, 19 novembre, 26 novembre, 3 dicembre e 10 dicembre 2021.
Le lezioni si terranno dalle ore 15.00 alle ore 18.00 esclusivamente in modalità streaming.
È ancora possibile iscriversi. Per ulteriori informazioni rivolgersi alla segreteria dell’Unione forense per la tutela dei diritti umani (Sig.ra Gioia Silvagni), tel. 06-8412940, email: info@unionedirittiumani.it.
Trovate qui il programma del corso.
Il 19 novembre 2021, presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro, si terrà il convegno dal titolo “La tutela dei minori e delle donne nel contesto migratorio”. In occasione dell’incontro, il Presidente dell’Unione Forense per la tutela dei diritti umani, l’Avv. Anton Giulio Lana, interverrà per presentare l’Osservatorio sulla giurisprudenza CEDU avviato dalla stessa UFTDU e finanziato dalla Fondazione Terzo Pilastro Internazionale.
Parteciperanno inoltre Carmela Ventrella, Coordinatrice dei corsi di laurea del Dipartimento, Riccardo Greco, Presidente del Tribunale dei Minorenni di Bari, Giovanni Stefani, Presidente dell’Ordine degli avvocati di Bari, Lorenzo Minunno, Direttore della Scuola di Aggiornamento della Fondazione Forense Barese, e l’Avvocata Uljana Gazidede.
Il convegno avrà inizio alle ore 14.30 e potrà essere seguito anche a distanza sulla piattaforma Teams mediante il link seguente:
Trovate qui il programma dell’evento