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Newsletter n. 3 del 24 febbraio 2022

Sommario

La tutela dell’ambiente fa il suo ingresso in Costituzione.

In data 8 febbraio 2022 la Camera dei deputati ha definitivamente approvato con maggioranza dei due terzi la proposta di legge costituzionale modificativa degli articoli 9 e 41, introducendo così la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi nella nostra Costituzione. Il Senato aveva approvato la proposta di legge con la maggioranza dei due terzi già lo scorso 3 novembre; pertanto, la legge costituzionale entra in vigore senza passare per il vaglio del referendum.

Il testo introduce un nuovo comma all’art. 9 cost. al fine di riconoscere tra i principi fondamentali la tutela dell’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. Allo stesso comma, inoltre, si afferma che “la legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”. Al contempo è oggetto di modifica l’art. 41 cost in materia di esercizio dell’iniziativa economica. La nuova formulazione dell’articolo recita “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali”.

La finalità di tale modifica è quella di dare articolazione al principio della tutela dell’ambiente ulteriore rispetto alla menzione della “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” previsto dall’art. 117, secondo comma, introdotto con la riforma del Titolo V del 2001. Le modifiche, infatti, introducono una tutela diretta per l’ambiente inteso nella sua accezione più estesa e sistemica: ambiente, ecosistema e biodiversità. Viene altresì introdotta per la prima volta nel nostro testo costituzionale l’interesse verso “le future generazioni”.

Le nuove formulazioni degli articoli oggetto di modifica recepiscono orientamenti affermati dalla Corte costituzionale in via interpretativa in occasione, segnatamente, della sentenza n. 407 del 2002, della n. 378 del 2007, della n. 179 del 2019 e, più recentemente, della sentenza n. 71 del 2020. La Consulta ha infatti riconosciuto un processo evolutivo diretto a riconoscere una nuova relazione tra la comunità territoriale e l’ambiente che la circonda capace di esprimere una funzione sociale e di incorporare una pluralità di interessi e utilità collettive, anche di natura intergenerazionale.

Attraverso tale modifica la nostra Costituzione introduce disposizioni specifiche riguardanti la tutela dell’ambiente, allineandosi a tesi costituzionali più recenti o di recente revisione come quella spagnola del 1978, quella olandese del 1983, quella tedesca del 1994 e quella francese del 2005. A segnale della funzione del diritto internazionale di strumento di cambiamento sociale, inoltre, la modifica approvata recepisce le recenti pronunce dei Comitati delle Nazioni unite e richiama le innovazioni intervenute attraverso l’adozione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 2000 e l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile del 2015. A ciò si aggiunge che la stessa Unione europea si è impegnata a perseguire, anche in relazione all’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, il programma di azione dell’Agenda 2030 sottolineando che lo “sviluppo sostenibile” è “profondamente radicato nel progetto europeo”. La recente modifica della nostra Costituzione, quindi, rappresenta un passaggio fondamentale per percorre la strada verso un futuro “greener, safer and better” e di cui si aspettano gli effetti su dossier ancora aperti come l’EX-ILVA di Taranto.

La Corte Europea dei diritti dell’uomo dichiara la violazione dell’art. 6 CEDU in un caso relativo all’effetto retroattivo della legge n. 269/2006 sui giudizi pendenti.

Con sentenza del 17 febbraio 2022, la Corte europea dei diritti dell’uomo si è pronunciata nel caso D’Amico c. Italia (ricorso n. 46586/2014), riconoscendo la violazione dell’art. 6 della Convenzione.

Nella fattispecie, la ricorrente iniziava a percepire dal 2002 la pensione del marito, deceduto il 1 aprile dello stesso anno. All’epoca la disciplina era regolamentata dalla legge n. 335 dell’8 agosto 1995 che era entrata in vigore senza abrogare esplicitamente la precedente legge n. 724/1994, in base alla quale la c.d. indennità integrativa speciale (ISS) veniva calcolata in modo più favorevole al pensionato dipendente pubblico.

Per questo motivo la ricorrente decideva di presentare un ricorso contro l’ Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti, l’INPDAP (le cui funzioni, dopo la sua soppressione nel 2011, sono attualmente svolte dall’INPS) davanti la Corte dei Conti della Basilicata, affermando che l’IIS avrebbe dovuto essere pagata nella sua interezza, cioè come indennità accessoria e non come una percentuale della prestazione originariamente corrisposta al suo defunto marito.

Con sentenza del 2 aprile 2007 la Corte dei conti della Basilicata accoglieva la domanda della ricorrente sostenendo che il nuovo sistema previsto dalla legge n. 335/1995 si applicava solo alle pensioni dirette che erano state pagate dopo il 1 gennaio 1995. Poiché il marito della ricorrente aveva iniziato a ricevere la sua pensione nel 1990, l’ISS si sarebbe dovuto calcolare nella sua interezza ai sensi dell’articolo 15, comma 5, della Legge n. 724/1994.

Avverso tale decisione, l’istituto di previdenza proponeva appello. Durante la pendenza del giudizio entrava in vigore la legge n. 296/2006 che forniva una “interpretazione autentica” della legge del 1995, rendendola applicabile a tutti i casi in cui le pensioni di reversibilità fossero state percepite dopo l’entrata in vigore della Legge n. 335/1995, indipendentemente dalla data di pagamento della pensione diretta.

Su queste basi la sezione centrale della Corte dei conti, nell’accogliere l’appello, ribaltava la sentenza di primo grado.

La ricorrente presentava dunque ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo sostenendo che lo Stato, con l’emanazione della legge n. 296/2006 avesse interferito nel giudizio pendente in favore di una delle parti, ribaltando così un consolidato orientamento giurisprudenziale a lei favorevole e violando il suo diritto ad un giusto processo.

Il governo, dal canto suo, sosteneva che la ricorrente non aveva subito in questo modo un significativo svantaggio e che inoltre l’orientamento giurisprudenziale favorevole alla ricorrente non fosse l’unico, sottolineando in più la ratio della legge, ovvero quella di dare un’interpretazione autentica della normativa del 1995 e di eliminare un’irrazionale disparità di trattamento tra il settore privato e quello pubblico nonchè per affrontare il pesante squilibrio finanziario del sistema pensionistico.

La Corte, con la sentenza in commento, ha tuttavia dichiarato la violazione dell’art. 6 CEDU, sostenendo il principio per cui “the aim of harmonising the pension system, while in the general interest, was not compelling enough to overcome the dangers inherent in the use of retrospective legislation affecting a pending dispute”.

Un’altra grande vittoria per lo studio legale Lana Lagostena Bassi Rosi in materia di danno da emotrasfusioni.

Il T.A.R. Lazio-Roma, annullava, in accoglimento del ricorso presentato dagli Avvocati dello studio Lana Lagostena Bassi Rosi, il provvedimento del Ministero della Salute che inopinatamente escludeva dalla possibilità di addivenire ad un accordo transattivo soggetti che avevano subito danni a seguito di emotrasfusioni e somministrazione di medicinali con emoderivati e già previamente ammessi.

La vicenda trae origine dalla sentenza n. 18523/2005 con cui il Tribunale ordinario di Roma (confermata della Corte di Appello di Roma con la Sentenza n. 2270/2017) accertava la responsabilità dell’Amministrazione convenuta per la patologia contratta dai danneggiati, riconoscendo ai predetti il risarcimento dei danni subiti, da quantificarsi in un diverso giudizio.

Gli attuali ricorrenti convenivano, con separate azioni, il Ministero della Salute per vedere condannare l’amministrazione al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali. Il Giudice ordinario provvedeva dunque a quantificare la somma dovuta per ciascun attore.

Successivamente, veniva approvata la legge del 29 novembre 2007, n. 222, e la legge del 24 dicembre 2007, n. 244, in virtù delle quali il Ministero della Salute sarebbe potuto addivenire ad accordi transattivi con coloro (soggetti emofilici, o talassemici danneggiati dall’assunzione di emoderivati infetti, nonché soggetti danneggiati a seguito di sottoposizione a trasfusioni con sangue infetto) che avevano instaurato, anteriormente al 1° gennaio 2008, azioni di risarcimento del danno patito in conseguenza di trasfusioni con sangue infetto.

Tutti gli attuali ricorrente presentavano quindi la predetta istanza, senza ottenere alcun riscontro da parte della p.a.

Veniva quindi nuovamente adito il Giudice in sede di ottemperanza che, con la sentenza n. 4029/2013, nominava un Commissario ad acta ed in particolare statuiva che fosse assunta ogni iniziativa utile per il riscontro delle domande di transazione presentate dai ricorrenti al Ministero della Salute.

L’ausiliario del giudice, con nota del 13 ottobre 2014, accoglieva le istanze transattive espresse dai ricorrenti a mente delle leggi nn. 222/2007 (art. 33) e 244/2007 (art. 2, comma 360) le quali autorizzavano il Ministero della Salute, di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, a stipulare transazioni con i ricorrenti.

In particolare, il Commissario ad acta, con distinte note datate 13 ottobre 2014, riteneva le istanze di adesione avanzate dai ricorrenti conformi alle previsioni normative subordinando, però, la definizione del procedimento alla stipula dell’atto transattivo, vistato dall’Avvocatura erariale. L’amministrazione resistente, con provvedimento datato 2 ottobre 2020, rifiutava però l’accordo transattivo, già manifestato dal Commissario ad acta.

In virtù di tale illegittimo rifiuto, nel provvedimento in commento il Collegio, a mente dell’art. 64 c.p.a., non ha potuto che valutare negativamente il comportamento gratuitamente omissivo della Pubblica Amministrazione. Ha quindi ritenuto fondate le censure avanzate, annullando il provvedimento di diniego di ammissione alla transazione disposto dal Ministero della Salute.

Il bilanciamento tra il favor veritatis e gli altri interessi in gioco nel disconoscimento dello status filiationis.

Con sentenza n. 3252/2022 la Corte di cassazione, con riferimento all’azione di disconoscimento della paternità, ha escluso, che il favor veritatis costituisca un valore di rilevanza costituzionale assoluta da affermarsi in ogni caso, senza esperire un previo bilanciamento con altri interessi in gioco, quali ad esempio quelli del figlio riconosciuto.

I fatti traggono spunto dall’azione di disconoscimento operata dalla seconda moglie di un soggetto, il quale anni prima aveva riconosciuto come proprio il figlio della sua prima moglie.

La Corte nell’enunciare il principio di diritto di cui sopra ha operato una ricostruzione del diritto positivo inerente al riconoscimento e al disconoscimento dello status di figlio.

Ha evidenziato inoltre come le modifiche del dato normativo sono state accompagnate da alcuni interventi della Corte costituzionale, la quale ha provveduto a precisare, a più riprese, la necessaria sussistenza di uno spazio di bilanciamento in concreto fra gli interessi implicati. Significativa l’affermazione secondo cui l’art. 263 cod. civ. sottende “l’esigenza di operare una razionale comparazione degli interessi in gioco, alla luce della concreta situazione dei soggetti coinvolti”, posto che “la regola di giudizio che il giudice è tenuto ad applicare in questi casi [deve] tenere conto di variabili molto più complesse della rigida alternativa vero o falso”. (Corte cost., sent. n. 272 del 2017 Corte cost. sent. n. 127 del 2020 e n. 133 del 2021)

Lo stato di filiazione, dunque, deve essere individuato quale diritto del figlio, tanto nella fase della acquisizione – costituendo il riconoscimento un diritto del figlio, cui corrisponde un dovere del genitore – quanto nella fase di contestazione, atteso che tale status, decorso un certo periodo di tempo non può essere rimosso per iniziativa di soggetti diversi dal figlio stesso, in quanto parte integrante della sua identità personale.

Di guisa che l’ordinamento non si muove più solo in una prospettiva di tutela di un soggetto intrinsecamente debole, quale può essere un bambino, sacrificando il favor veritatis per preservarne l’armonico sviluppo ed evitare il trauma dell’avvicendarsi delle figure genitoriali, ma anche in riferimento al figlio maggiorenne, così come nel caso di specie (riguardante una persona ultraquarantenne), sulla base della considerazione per cui – a discapito della tendenziale coincidenza tra genitorialità naturale/biologica e legale – egli non possa essere privato dello stato di filiazione acquisito.

Si è al cospetto, quindi, di un’azione nella quale il giudice non procede ad un mero accertamento della verità biologica, ma opera un bilanciamento in concreto tra gli interessi coinvolti.

Offerta formativa dell’unione forense per la tutela dei diritti dell’uomo.

Al via la nuova stagione dei corsi offerti dall’Unione Forense per la Tutela dei Diritti Umani con il contributo di autorevoli avvocati esperti nel settore, professori universitari e magistrati.

Come ormai da più di 50 anni, l’Unione si prefigge lo scopo di diffondere la conoscenza delle norme interne e di carattere internazionale riguardante la tutela dei diritti umani attraverso la formazione di alto livello rivolta ad avvocati, operatori giuridici, studenti e attivisti.

Da sempre attenta alle nuove necessità di formazione e di tutela dei diritti fondamentali, l’Unione Forense per la Tutela dei Diritti Umani propone tre nuovi corsi nella propria offerta formativa:

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2) Procreazione Medicalmente Assistita e nuove genitorialità: https://lnkd.in/dYQZTa9t

3) Tutela del diritto di proprietà nella CEDU: https://lnkd.in/dtxvmibN