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Newsletter n. 1 del 17 gennaio 2022

Sommario

La Corte Europea dei diritti dell’uomo si pronuncia sulla privazione arbitraria della cittadinanza.

Con sentenza pubblicata il 13 gennaio 2022, la Quinta Sezione della Corte europea dei diritti dell’uomo si pronunciava sul caso Hashemi c. Azerbaigian (ricorso n. 1480/16 e altri 6).

Il caso originava dal rifiuto delle autorità azere di riconoscere la cittadinanza ai figli dei ricorrenti, i quali avevano lasciato i loro paesi di origine (Afghanistan e Pakistan) tra il 1993 e il 2010 per trovare la protezione dell’Alto commissariato per i rifugiati in Azerbaigian. Successivamente, i figli dei ricorrenti erano nati sul suolo azero ed erano in possesso di un atto di nascita attestante la loro cittadinanza azera. Tuttavia, le autorità azere si rifiutavano di emettere un documento di identità.

Dinanzi a detto rifiuto, i ricorrenti presentavano ricorso al tribunale amministrativo ed economico di Baku invocando la legislazione in materia di cittadinanza secondo la quale è cittadino azero ogni persona nata in Azerbaigian. Tuttavia, il tribunale di Baku rigettava i ricorsi motivando che gli interessati non potevano ritenersi cittadini azeri dato che i loro genitori avevano una diversa cittadinanza e che il solo fatto di essere nati in Azerbaigian non conferiva loro la cittadinanza.

Nel corso del 2014 e del 2015 i ricorrenti interponevano appello sostenendo che la legislazione in materia di cittadinanza vigente al momento dei fatti riconosceva la cittadinanza a chiunque fosse nato sul suolo azero, indipendentemente dalla nazionalità dei genitori. Difatti, l’articolo 52 della Costituzione azera prevede che è cittadino azero una persona nata sul territorio della Repubblica dell’Azerbaigian oppure, in alternativa, una persona nata da cittadini azeri. La Corte d’appello però rigettava, confermando la decisione di primo grado con una scarna motivazione.

Dinanzi alla Corte Edu, i ricorrenti lamentavano una violazione dell’articolo 8 della Convenzione (diritto al rispetto della vita privata e familiare) in ragione del rifiuto delle autorità azere di riconoscere la cittadinanza azera dei loro figli, nati sul territorio della Repubblica d’Azerbaigian, opponendosi all’emissione di un documento d’identità.

Secondo i ricorrenti, un tale rifiuto ha privato i minori dei loro diritti economici e sociali, riconosciuti ai cittadini azeri, quali il diritto ad un’istruzione superiore gratuita o ancora il diritto all’assistenza sanitaria. La posizione avanzata dal Governo sosteneva che la legge sulla cittadinanza della Repubblica d’Azerbaigian del 30 settembre 1998, nella versione applicabile ai fatti di specie, presentava un vuoto legislativo in merito alle persone nate sul suolo azero da genitori non azeri. Difatti, con legge del 30 maggio 2014, la detta legge veniva modificata con l’obiettivo di limitare l’acquisizione della cittadinanza iure soli e, tra gli altri, veniva ritirato l’atto di nascita dai documenti attestanti la cittadinanza e venivano modificate le modalità di acquisizione della cittadinanza, prevedendo che una persona nata sul suolo della Repubblica di Azerbaigian da cittadini non azeri non sarebbe stata considerata cittadina azera. Il Governo sosteneva anche che, dal momento in cui l’Azerbaigian non riconosce la doppia nazionalità, i costituenti avevano inteso riconoscere la cittadinanza ad un minore nato sul territorio azero da cittadini stranieri solamente se il paese di origine dei genitori non gli riconosceva la cittadinanza.

La Corte, in conformità con i principi in materia di privazione arbitraria della cittadinanza ritenuti applicabili nella specie – i quali, a certe condizioni, possono rientrare nella nozione di “vita privata” ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione – analizzava le conseguenze del rifiuto delle autorità azere di emettere il documento di identità. In particolare, la Corte notava che un tale rifiuto implica necessariamente delle forti limitazioni all’esercizio dei diritti riconosciuti ai cittadini, nonché un’incertezza circa il soggiorno e lo status giuridico della persona.

Nel caso di specie, nel riconoscere la violazione dell’articolo 8 della Convenzione, la Corte riteneva che la decisione delle autorità azere costituisse un’ingerenza arbitraria nell’esercizio dei figli dei ricorrenti del diritto al rispetto della propria vita privata e familiare dal momento che la legislazione in materia in vigore al momento dei fatti non prevedeva alcuna condizione all’acquisizione della cittadinanza iure soli

Tre casi comunicati al Governo italiano in materia di procreazione medicalmente assistita.

La Corte Europea dei diritti dell’uomo ha comunicato tre casi al Governo italiano in materia di procreazione medicalmente assistita.

Due casi riguardano la gestazione per altri (Carolina Modanese e Angelo Modanese c. Italia, ricorso n. 59054/59; Stefano Maurizio Bonzano e altri c. Italia, ricorso n. 10810/20): il primo origina dal rifiuto delle autorità italiane di riconoscere il legame di filiazione tra il genitore intenzionale e i figli, nati all’estero a seguito di una gestazione per altri, in conformità con l’atto di nascita estero e nonostante il padre biologico sia stato riconosciuto; il secondo caso origina invece dal rifiuto delle autorità italiane di trascrivere sui registri dello stato civile gli atti di nascita esteri di minori legalmente concepiti all’estero a seguito di una gestazione per altri, i cui genitori hanno la cittadinanza italiana.

Il terzo caso (Ettore Nuti c. Italia e Sara Dallabora e altri c. Italia, ricorsi nn. 47998/20 e 23142/21), in materia di fecondazione eterologa, origina dal rifiuto delle autorità italiane di trascrivere nei registri dello stato civile l’atto di nascita dei minori nati in Italia da coppie eterosessuali a seguito di una procreazione medicalmente assistita intrapresa all’estero nonostante designino la madre intenzionale come madre dei minori.

I ricorrenti dei tre casi lamentano una violazione dell’articolo 8 della Convenzione (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e dell’articolo 8 letto congiuntamente all’articolo 14 (divieto di discriminazione).

Assegno unico e universale per ciascun figlio.

Pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 30 dicembre 2021 e in vigore dal giorno successivo, il decreto legislativo n. 230 del 21 dicembre 2021 prevede le misure a sostegno dei figli a carico attraverso l’assegno unico e universale. Il decreto riordina, semplifica e potenzia le misure finalizzate a sostenere le famiglie con figli a carico, grazie appunto all’assegno unico e universale.

Ricordiamo che l’assegno unico e universale è una delle misure introdotte dalla manovra 2021, destinata alle famiglie con determinati requisiti economici e con figli a carico, ossia quelli che fanno parte del nucleo familiare in base all’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) o in base ai dati auto-dichiarati nella domanda.

Si chiama “assegno unico” perché al suo interno sono comprese tutte le detrazioni, gli incentivi, gli assegni, gli sgravi e i mini bonus già previsti per le famiglie italiane con figli, che resteranno attivi fino all’entrata a regime dell’assegno unico e universale. Si chiama “assegno universale” perché si fonda sul principio universalistico, che prevede l’attribuzione dell’aiuto a tutti i nuclei familiari con figli, nei limiti naturalmente delle risorse disponibili. L’assegno infatti viene modulato in base all’ISEE del nucleo familiare e all’età dei figli a carico.

L’assegno unico e universale è destinato alle famiglie con prole e viene riconosciuto a partire dal settimo mese di gravidanza fino al compimento dei 21 anni, limite di età che non è previsto se il figlio è disabile.

Viene riconosciuto a entrambi i genitori nella stessa misura, altrimenti spetta a chi esercita la responsabilità genitoriale. In presenza di una crisi coniugale che porta alla separazione o al divorzio, se i coniugi non si accordano, l’assegno spetta al genitore presso cui sono affidati i figli.

Hanno diritto ad accedere all’assegno unico e universale i soggetti che presentano congiuntamente i seguenti requisiti:

  • possesso della cittadinanza italiana o di uno Stato membro dell’Unione europea o famigliare di questi o titolare del diritto di soggiorno UE, o cittadino non UE in possesso del permesso per soggiornanti di lungo periodo o titolare di permesso unico di lavoro o di ricerca per un periodo superiore a sei mesi;
  • assoggettamento al pagamento dell’imposta sul reddito nel territorio italiano;
  • residenza o domicilio nel territorio italiano;
  • residenza attuale o passata in Italia per almeno due anni, anche se non in modo continuativo, o titolarità di un contratto di lavoro a tempo indeterminato, o determinato di almeno sei mesi.

 

L’importo dell’assegno base è maggiorato rispetto a quello previsto per i figli minorenni e per quelli di maggiore età a carico se ricorrono le seguenti ipotesi:

  • se nascono altri figli dopo il secondo;
  • se le madri hanno un’età inferiore ai 21 anni;
  • se nascono figli con disabilità (le maggiorazioni variano in base all’età del figlio);
  • se in famiglia ci sono più di 4 figli è riconosciuta una maggiorazione forfettaria di 100 euro;
  • se il reddito non supera i 25.000 euro e in presenza di altri requisiti, per i primi tre anni di erogazione della misura, le maggiorazioni servono a garantire la graduale transizione alla nuova misura.

Le domande potranno essere inoltrate tramite l’INPS o gli Istituti di patronato a partire dal 1° gennaio 2022 e poi dal primo giorno di ciascun anno. L’erogazione per il 2022 inizierà a marzo 2022.

Alla domanda deve essere allegata la certificazione ISEE per ottenere l’importo mensile più adeguato alla situazione familiare. Inoltrata la domanda l’erogazione è riconosciuta a partire dal mese successivo e l’accredito dell’importo avviene sull’IBAN del beneficiario o con bonifico domiciliato.

L’assegno unico per i figli maggiorenni, dai 18 ai 21 anni può essere corrisposto in via diretta al figlio.Costoro però possono godere dell’assegno unico se risultano iscritti a un corso professionale o di laurea, se svolgono tirocinio o un’attività lavorativa retribuita con uno stipendio annuo complessivo non superiore agli 8000 euro, se sono occupati nel servizio civile o se risultano in stato di disoccupazione e in cerca di un lavoro presso un centro per l’impiego.

L’assegno unico e universale è compatibile con il reddito di cittadinanza, anche se ai fini della determinazione del suo ammontare si tiene conto della quota del beneficio di cittadinanza spettante. Chi percepisce il reddito di cittadinanza non è necessario che faccia domanda apposita. L’INPS in questi casi procederà d’ufficio.

Per la Cassazione civile il diritto agli alimenti è escluso per il figlio che può accedere ad altre forme di assistenza sociale.

Con l’ordinanza n. 40882 del 20 dicembre 2021, la Cassazione I sez. civile ha stabilito il principio per cui “l’accertamento dell’impossibilità per il soggetto di provvedere al soddisfacimento dei suoi bisogni primari non può poi prescindere dalla verifica dell’accessibilità dell’alimentando a forme di provvidenza che consentano di elidere, ancorché temporaneamente, lo stato di bisogno”, quale ad esempio il reddito di cittadinanza.

Nella fattispecie il figlio, S. L., conveniva in giudizio i suoi genitori per sentirli condannare al pagamento di un assegno alimentare di euro 250 a carico del padre e di euro 400 a carico della madre.

S. L. affermava che, nonostante il conseguimento della laurea breve in informatica e i suoi numerosi tentativi di trovare un lavoro, la sua condizione lavorativa restava precaria e tale da non consentirgli una vita dignitosa; dichiarava quindi di vivere in un dormitorio.

Sia il tribunale di Torino che la Corte d’appello respingevano la sua domanda. Avverso tale decisione S.L. proponeva ricorso per Cassazione per sei motivi.

In particolare, il ricorrente, faceva valere la violazione e la falsa applicazione dell’art. 438 c.c. secondo cui gli alimenti possono essere chiesti solo da chi (a) versa in istato di bisogno e (b) non è in grado di provvedere al proprio mantenimento. S.L. riteneva che la Corte avesse mal interpretato il requisito dell’impossibilità “identificandolo con il riduttivo diverso concetto di incapacità” e avesse per di più impropriamente fatto riferimento alla ipotetiche prospettive future del ricorrente, senza tenere in debita considerazione la sua situazione attuale.

La Corte di cassazione, nel rigettare il ricorso, precisava che la situazione di bisogno deve essere intesa quale incapacità della persona a provvedere alle fondamentali esigenze di vita che si concreta nell’impossibilità di provvedere al soddisfacimento dei propri bisogni primari.

Ricorda inoltre la Corte che il diritto agli alimenti “è legato alla prova non solo dello stato di bisogno, ma anche della impossibilità di provvedere, in tutto o in parte, al proprio sostentamento mediante l’esplicazione di un’attività lavorativa, sicché, ove l’alimentando non provi la propria invalidità al lavoro per incapacità fisica o l’impossibilità, per circostanze a lui non imputabili, di trovarsi un’occupazione confacente alle proprie attitudini e alle proprie condizioni sociali, la relativa domanda deve essere rigettata (Cass. 6 ottobre 2006, n. 21572; nello stesso senso: Cass. 14 febbraio 1990, n. 1099; Cass. 30 marzo 1981, n. 1820)” e che l’accertamento di tale impossibilità deve necessariamente tenere in considerazione la possibilità per l’alimentando di accedere ad altre forme di provvidenza che gli consentano, seppur temporaneamente, di far fronte al suo stato di bisogno.

Nuove norme per far fronte alla pandemia Covid-19: introdotto l’obbligo di vaccinazione per gli over 50.

Al fine di far fronte alla nuova ondata di Covid-19, il Governo, dopo aver esteso l’obbligo di green pass per talune attività e modificato le regole in materia di quarantena in modo tale da renderla più breve per i soggetti dotati di green pass “rafforzato” (d.l. del 30 dicembre 2021, n. 229), con il d.l. del 7 gennaio 2022 n. 1, ha introdotto ulteriori misure di contenimento, in vigore dal giorno successivo alla sua pubblicazione.

In particolare, all’art. 1 del sopra citato decreto, l’obbligo vaccinale è esteso fino al 15 giugno 2022 a tutti i soggetti residenti sul territorio italiano che abbiano compiuto, o che compiranno entro il termine ivi previsto, il cinquantesimo anno di età. Si dispone inoltre l’esenzione da tale obbligo “in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale dell’assistito o dal medico vaccinatore, nel rispetto delle circolari del Ministero della salute in materia di esenzione dalla vaccinazione anti SARS-CoV-2; in tali casi la vaccinazione può essere omessa o differita”.

Il suddetto obbligo è esteso dall’art. 2 al personale universitario, delle istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica e degli istituti tecnici superiori di qualsiasi età.

Per i lavoratori pubblici e privati con 50 anni d’età sarà quindi obbligatorio esibire il green pass rafforzato a far data dal 15 febbraio 2022

L’impiego del green pass “base” è invece esteso per accedere ai servizi alla persona e per i colloqui con i detenuti (dal 20 gennaio 2022), per l’accesso ai pubblici uffici, servizi postali, bancari e finanziari, attività commerciali fatte salve eccezioni necessarie ad assicurare il soddisfacimento di esigenze essenziali e primarie della persona (dal 1 febbraio 2022), nonché per l’ingresso nelle aule di giustizia “ai difensori, ai consulenti, ai periti e agli altri ausiliari del magistrato estranei alle amministrazioni della giustizia” ( ma non ai testimoni e alle parti del processo).

Il nuovo decreto modifica infine le modalità di gestione della positività all’infezione Covid-19 nelle scuole, differenziando tra scuole primarie e secondarie.

Il testo completo del decreto legge n. 1 del 7 gennaio 2022 è qui.

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