Il Parlamento Europeo il 14 settembre 2021 ha approvato un’importante risoluzione relativa ai diritti delle persone LGBTIQ nell’UE (2021/2679).
In particolare, il Parlamento Europeo ha espresso le sue preoccupazioni per le discriminazioni che le persone LGBTIQ continuano a subire in molti paesi dell’Unione, vista la diffusione di una retorica ostile da parte dei politici eletti, di ondate di violenza omotransfobica o la recente istituzione di “zone libere LGBTI”.
L’istituzione europea ha quindi affermato:
Il Parlamento europeo il 16 settembre 2021 ha approvato una risoluzione che propone di includere tra le “sfere di criminalità” particolarmente gravi (tra cui terrorismo, tratta degli esseri umani e sfruttamento sessuale delle donne e dei minori), di cui l’art. 83 del TFUE, anche la violenza di genere.
Il Parlamento ha preso le mosse dalla considerazione che “la lotta alla violenza di genere è una priorità fondamentale della strategia dell’unione per la parità di genere e dell’azione esterna all’unione” ed ha dunque condannato ogni genere di violenza contro le donne e le ragazze in tutta la loro diversità e le altre forme di violenza di genere online e offline, tra cui la violenza contro le persone LGBTQUI, fino ad arrivare ad una ferma condanna del femminicidio quale “forma più estrema di violenza”.
Alla luce di quanto sopra, sono state dunque formulate le seguenti raccomandazioni:
La Corte di Cassazione, VI sez. civile, con sentenza del 22 settembre 2021 ha confermato un suo consolidato orientamento in materia di revisione dell’assegno di mantenimento.
Nella fattispecie il ricorrente proponeva ricorso per cassazione avverso il provvedimento della Corte d’Appello di Catanzaro che, confermando la pronuncia del giudice di primo grado, disponeva la revoca dell’assegno di mantenimento a suo carico a far data dalla relativa domanda.
Il ricorrente chiedeva con reclamo alla Corte d’appello di Catanzaro che la decorrenza della revoca dell’assegno di mantenimento fosse collocata a giugno 2016, momento in cui si verificava il mutamento delle condizioni economiche delle parti, e la conseguente previsione di un assegno di mantenimento in suo favore. Entrambe le richieste venivano respinte.
Veniva proposto allora ricorso per cassazione asserendo la violazione dell’art. 156 c. c., relativamente alla determinazione della decorrenza degli effetti del provvedimento di revoca.
La Corte rigettava il ricorso, ribadendo il principio per cui, in materia di revisione dell’assegno di mantenimento , “il diritto a percepirlo di un coniuge ed il corrispondente obbligo a versarlo dell’altro, nella misura e nei modi stabiliti dalla sentenza di separazione o dal verbale di omologazione, conservano la loro efficacia, sino a quando non intervenga la modifica di tali provvedimenti, rimanendo del tutto ininfluente il momento in cui di fatto sono maturati i presupposti per la modificazione o la soppressione dell’assegno”.
Il 16 settembre 2021, la prima sezione della Corte europea dei diritti dell’uomo si pronunciava sul caso X. c. Polonia (ricorso n. 20741/10), rilevando la violazione dell’art. 14 (divieto di discriminazione) da leggersi congiuntamente all’art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Il caso originava nel 2005 dal divorzio della ricorrente con il marito. La ricorrente, infatti, dopo aver intrapreso una relazione con un’altra donna, chiedeva il divorzio e otteneva, in un primo momento, la custodia dei suoi quattro figli. Nel 2006 l’ormai ex marito adiva nuovamente il giudice chiedendo la revisione dei precedenti accordi; ottenendo la custodia dei figli.
La ricorrente, X, proponeva ricorso alla Corte Edu lamentando la violazione dell’art 14, letto congiuntamente all’art. 8 CEDU, e dell’art. 6 CEDU, sostenendo che il suo orientamento sessuale avesse fondato le decisioni dei giudici interni, che per questo le avevano negato la custodia del minore dei suoi figli.
Nella sua sentenza, la Corte di Strasburgo, si pronunciava in favore della ricorrente, riconoscendo la violazione dell’art. 14, letto congiuntamente all’art. 8 CEDU, poiché i riferimenti all’omosessualità di X avevano rappresentato una costante nelle perizie su cui si erano di fatto fondate le decisioni dei giudici. In una di queste si leggeva ad esempio che sarebbe stato possibile per la madre ottenere la custodia del figlio se solo avesse “corretto il suo comportamento ed escluso la compagna dalla sua vita familiare”.
Con sentenza n. 20914/07, nel caso Carter c. Russia, la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha condannato la Russia per violazione dell’art. 2 e 38 della CEDU. Il fatto è originato dall’uccisione del dissidente Russo Aleksander Litvinenko, avvenuta per avvelenamento nel 2006.
Il ricorso a Strasburgo è stato presentato dalla vedova del dissidente russo, la quale sosteneva che l’omicidio era stato perpetrato su ordine o con l’acquiescenza o comunque la connivenza delle autorità russe, le quali non avrebbero per altro condotto un’indagine interna efficace sull’omicidio.
In particolare, lamentava la violazione degli artt. 2 e 3 della Convenzione in quanto il sig. Litvinenko era stato assassinato dal sig. Lugovoy mentre agiva con il tacito consenso o con la conoscenza e il sostegno delle autorità russe, le quali non avevano nemmeno condotto un’indagine effettiva sull’omicidio. La ricorrente ha altresì lamentato una violazione dell’art. 3 a causa del dolore e dell’angoscia causati a lei e a suo figlio in seguito all’assassinio del marito.
Prima di intraprendere l’esame dell’ammissibilità e il merito delle lamentele della ricorrente, la Corte ha esaminato la questione relativa all’obbligo procedurale gravante sul Governo, di presentare le prove richieste dalla Corte ai sensi dell’art. 38 della CEDU. Nel dare notizia del ricorso la Corte ha chiesto al governo di presentare una copia del materiale relativo all’indagine interna sulla morte del Sig. Litvinenko. Il governo russo ha però respinto la richiesta della Corte appellandosi all’art. 161 del proprio Codice di procedura penale, il quale limita, in caso di un’indagine in corso, la divulgazione di qualsiasi materiale del fascicolo nell’interesse stesso dell’indagine. La Corte ha successivamente reiterato la richiesta ma il Governo non ha presentato alcun materiale. Di conseguenza la Corte ha ritenuto che lo Stato convenuto fosse venuto meno agli obblighi derivanti dall’art. 38 CEDU.
Dopo aver affermato la propria giurisdizione sul caso e l’ammissibilità del ricorso, la Corte si è pronunciata nel merito sostenendo che la condotta dello Stato è stata lesiva dell’art. 2 CEDU poiché, quando il sig. Litvinienko è stato avvelenato, i signori Lugovoy e Kovtun agivano come agenti dello Stato convenuto ed esercitavano il potere fisico e il controllo sulla sua vita.
La Corte, nel caso di specie, ha ribadito che uno Stato può essere ritenuto responsabile della violazione dei diritti e delle libertà della Convenzione perpetrate da persone, che pur trovandosi sul territorio di un altro Stato, risultano essere comunque sotto l’autorità del primo poiché suoi agenti, e questo indipendentemente dal fatto che essi operino legalmente o illegalmente. Relativamente all’art. 3 della Convenzione la Corte ha ritenuto che le doglianze fossero irricevibili ratione personae in quanto, la Sig. Carter non era lei stessa vittima delle presunte violazioni.
L’ Unione Forense per la Tutela dei Diritti Umani organizza la ventiduesima edizione del corso di specializzazione sulla “Tutela europea dei diritti umani”.
Il corso, primo del suo genere in Italia, da più di vent’anni è tenuto dai massimi esperti in materia ed è rivolto allo studio del funzionamento del sistema di tutela dei diritti fondamentali, con un particolare focus sul sistema della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e delle tutele previste nel diritto dell’Unione europea.
Formare operatori del diritto, capaci di parlare il linguaggio delle Corti europee sembra essere fondamentale in modo da consentire una sempre maggiore applicazione della Convenzione europea, della Carta di Nizza e dei principi ivi affermati, prima di tutto all’interno dei confini nazionali. Il nucleo centrale del corso risiede in quest’opera di ampliamento degli orizzonti di tutela e mira quindi a realizzare questa riaffermazione del valore della tutela dei diritti fondamentali a livello europeo.
Per tali ragioni, il corso si rivela quanto mai necessario per rendere l’operatore del diritto interno in grado di tutelare il proprio assistito in maniera piena, con gli strumenti predisposti dalla Convenzione europea e dal diritto dell’UE.
Il corso è articolato in 6 incontri che si terranno ogni venerdì a partire dal 5 novembre 2021 fino al 10 dicembre 2021 dalle ore 15.00 alle ore 18.00.
Il corso offrirà ai partecipanti la possibilità di approfondire, con il contributo di autorevoli esperti in materia, professori universitari, avvocati, giuristi della cancelleria e giudici della Corte, la giurisprudenza della Corte europea e l’impatto che questa ha nell’ordinamento italiano. Nell’ambito del corso saranno altresì esaminati i rapporti tra la Corte di Strasburgo e la Corte di Lussemburgo alla luce dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, che ha attribuito valore giuridico vincolante alla summenzionata Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
La XXII edizione tratterà i seguenti temi: