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Newsletter n. 3 del 26 marzo 2024

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Sommario

La Corte di Strasburgo ribadisce l’inapplicabilità dell’art. 6 CEDU ai procedimenti in materia di asilo

Con decisione del 15 febbraio 2024, la Corte di Strasburgo ha dichiarato irricevibile il ricorso relativo al caso E. A. c. Italia (n. 34573/22), riguardante la violazione degli artt. 6 e 13 CEDU in relazione ad un procedimento di asilo.

La vicenda traeva origine dal respingimento della domanda di protezione internazionale del ricorrente, cittadino nigeriano, da parte della Commissione territoriale di Caserta. Dopo aver impugnato il provvedimento di respingimento della domanda di fronte al Tribunale di Napoli, che a sua volta lo aveva confermato, il ricorrente aveva deciso di agire di fronte alla Corte di cassazione. Tuttavia, il ricorso davanti al giudice di legittimità era stato respinto in quanto la procura presentava difetti formali.

Il ricorrente, dunque, adiva la Corte di Strasburgo, lamentando la violazione dell’art. 6 CEDU (diritto ad un processo equo) per eccesivo formalismo, altresì sostenendo che vi era una violazione dell’art. 13 CEDU (diritto a un ricorso effettivo) letto congiuntamente all’art. 3 CEDU (divieto di tortura e trattamenti degradanti) per essere stato privato di un ricorso effettivo avverso il rigetto della sua domanda di protezione internazionale.

La Corte europea, inopinatamente, ha dichiarato irricevibile il ricorso, non verificando se effettivamente i requisiti formali richiesti per il ricorso in Cassazione costituissero una violazione dell’art. 6 CEDU, limitandosi a ravvisare l’incompatibilità della materia del ricorso con le disposizioni della Convenzione (difetto di competenza c.d. ratione materiae) ai sensi dell’art. 35 CEDU (condizioni di ricevibilità del ricorso), in ragione del fatto che l’art. 6 CEDU non trova applicazione nelle procedure di asilo.

Tribunale di Roma: la questione dell’emergenza climatica non è sindacabile dal giudice

Con sentenza pubblicata il 6 marzo 2024, il Tribunale Ordinario di Roma, seconda sezione civile, si è pronunciato in relazione alla causa relativa ai danni derivanti dai cambiamenti climatici, nota come “Giudizio Universale”.

Con atto di citazione notificato nel 2021, oltre duecento ricorrenti agivano in giudizio contro lo Stato italiano, ritenendolo inadempiente in relazione agli impegni assunti per contrastare i cambiamenti climatici antropogenici.

I ricorrenti richiedevano, dunque, il risarcimento dei danni derivanti dall’inerzia dello Stato italiano e di condannare l’Italia a ridurre le emissioni di gas serra del 92% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990, adottando ogni necessaria iniziativa di abbattimento delle emissioni artificiali.

Il Tribunale ha dichiarato inammissibili le domande degli attori per difetto assoluto di giurisdizione, ritenendo di non poter accertare la responsabilità civile dello Stato in relazione ad una  domanda «diretta ad ottenere dal Giudice una pronuncia di condanna dello Stato legislatore e del governo ad un facere in una materia tradizionalmente riservata alla “politica”», nonché «diretta in concreto a chiedere, quale petitum sostanziale, al giudice un sindacato sulle modalità di esercizio delle potestà statali previste dalla Costituzione». Inoltre, il Tribunale ha evidenziato che la questione avrebbe dovuto essere devoluta al giudice amministrativo, trattandosi di controversia riconducibile all’esercizio di poteri autoritativi da parte dello Stato.

Con tale pronuncia, ponendosi in contrasto con la giurisprudenza di altri paesi europei, nei quali le c.d. climate litigations si sono affermate da anni, il Tribunale di Roma ha ritenuto la questione dell’emergenza climatica sottratta al sindacato giurisdizionale, in quanto espressiva di attività politica.

Corte Costituzionale: dal provvedimento di archiviazione che chiude le indagini non possono discendere conseguenze negative per la reputazione dell’interessato

La Corte Costituzionale, con sentenza depositata in data 11 marzo 2024, nel dichiarare l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale sottopostale, ha ribadito l’importante principio per cui un provvedimento di archiviazione per prescrizione del reato che presenti la persona come colpevole lede i suoi diritti fondamentali.

Il giudizio originava dall’ordinanza del 21 novembre 2022 con cui il Tribunale ordinario di Lecce, sollevava, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, commi secondo e terzo, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 411, comma 1-bis, del codice di procedura penale, «nella parte in cui non prevede che, anche in caso di richiesta di archiviazione per estinzione del reato per intervenuta prescrizione, il pubblico ministero debba darne avviso alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa, estendendo a tale ipotesi la medesima disciplina prevista per il caso di archiviazione disposta per particolare tenuità del fatto, anche sotto il profilo della nullità del decreto di archiviazione emesso in mancanza del predetto avviso e della sua reclamabilità dinanzi al Tribunale in composizione monocratica».

Dunque, il tema in discussione “è se i rimedi per la tutela della reputazione dell’interessato debbano, per necessità costituzionale, comprendere anche la rinuncia alla prescrizione, allo scopo di ottenere una pronuncia liberatoria sul merito della notitia criminis”.

La risposta della Corte Costituzionale in merito è risultata negativa. In particolare la Corte ha sottolineato come l’interessato disponga anzitutto dei mezzi ordinari a difesa della propria reputazione – a cominciare dalla denuncia e/o querela per calunnia e diffamazione aggravata, sino all’azione aquiliana – contro qualsiasi privato che lo abbia ingiustamente accusato di avere commesso un reato, nonché contro ogni indebita utilizzazione, da parte dei media, degli elementi di indagine e dello stesso provvedimento di archiviazione, così da presentare di fatto la persona come colpevole.

Tuttavia, nel dichiarare non fondata la questione, la Consulta ha colto l’occasione per precisare come il caso posto fosse “emblematico di una specifica patologia”, rappresentata da un provvedimento di archiviazione per prescrizione che presenta la persona sottoposta alle indagini come colpevole, senza averle dato alcuna possibilità di difendersi dalle accuse.

Di fatto, tanto l’iscrizione nel registro degli indagati, quanto il provvedimento di archiviazione che chiude le indagini, sono provvedimenti concepiti dal legislatore come “neutri”, dai quali è erroneo far discendere conseguenze negative per la reputazione dell’interessato.

Provvedimenti di tal genere, che presentino, invece, l’interessato come colpevole “sono in concreto suscettibili di produrre – ove per qualsiasi ragione arrivino a conoscenza dei terzi, come spesso accade – gravi pregiudizi alla reputazione, nonché alla vita privata, familiare, sociale e professionale, delle persone interessate. Ciò che, in ipotesi, potrebbe dare altresì luogo a responsabilità civile e disciplinare dello stesso magistrato” che ha richiesto o emesso il provvedimento, in quanto ne ricorrano i presupposti di legge.

Di conseguenza “il mancato riconoscimento alla persona sottoposta alle indagini di un diritto a provocare un accertamento negativo della notitia criminis nell’ambito di un giudizio penale non è costituzionalmente illegittimo soltanto in quanto l’ordinamento sia in grado – per altra via – di assicurare un rimedio effettivo contro ogni eventuale violazione, da parte dall’autorità giudiziaria, del diritto fondamentale della persona medesima a non essere presentata come colpevole senza avere potuto difendersi e presentare prove a proprio discarico. E tale rimedio non potrebbe comunque essere subordinato alla rinuncia alla prescrizione da parte dell’interessato, nei limiti in cui tale diritto sia in concreto esercitabile. In effetti, la persona sottoposta alle indagini, se non ha in via generale il diritto di rinunciarvi, ha invece il pieno diritto di avvalersi della prescrizione, che è posta a tutela anche del suo soggettivo interesse a essere lasciata in pace dalla pretesa punitiva statale, rimasta inattiva per un rilevante lasso di tempo dalla commissione del fatto a lei attribuito, senza che tale legittima scelta di avvalersi della prescrizione comporti, per l’interessato, la perdita del suo diritto fondamentale a non essere pubblicamente additato come colpevole in assenza di un accertamento giudiziale”.

Convegno “Revisione e revocazione europea dopo la riforma Cartabia: stato dell’arte e prospettive di sviluppo”

Il 14 marzo scorso si è svolto presso l’Aula Giallombardo della Corte di cassazione il convegno “Revisione e revocazione europea dopo la riforma Cartabia: stato dell’arte e prospettive di sviluppo”, organizzato dall’Unione forense per la tutela dei diritti umani d’intesa con la Corte di Cassazione.

Il convegno ha avuto ad oggetto due specifici mezzi straordinari di impugnazione che  consentono, a determinate condizioni, di rimuovere gli effetti del giudicato civile e di quello penale per dare esecuzione alle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo: la “revisione europea” e la “revocazione europea”. I due istituti sono stati codificati nell’ordinamento italiano dalla riforma Cartabia dopo anni di elaborazione giurisprudenziale e ripetuti interventi della Corte costituzionale.

All’evento hanno presenziato la Dott.ssa Margherita Cassano, Prima Presidente della Corte di Cassazione, il Sen. Francesco Paolo Sisto, Viceministro della Giustizia, l’Avv. Leonardo Arnau del Consiglio Nazionale forense e l’Avv. Maria Agnino del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Roma, i quali hanno rivolto i saluti istituzionali.

Il tema della revisione europea è stato trattato dal Prof. Simone Lonati dalla Cons. Matilde Brancaccio, mentre quello della revocazione europea dal Prof. Sergio Menchini e dal Cons. Roberto Conti.

L’incontro è stato introdotto e moderato dall’Avv. Prof. Anton Giulio Lana, Presidente dell’Unione forense per la tutela dei diritti umani, e concluso dal Prof. Guido Raimondi, già Presidente della Corte europea dei diritti dell’uomo e della Sezione lavoro della Corte di Cassazione, il quale ha anche analizzato i profili internazionali e convenzionali degli istituti in parola.

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